PAOLA «Non sto bene e non sono tranquillo». Adolfo Foggetti, collaboratore di giustizia cosentino, ha preso la parola oggi in aula, nel corso del processo celebrato dinanzi al tribunale di Paola e scaturito dall’inchiesta nome in codice “Affari di Famiglia“. Rappresentato dall’avvocato Michele Gigliotti, Foggetti ha declinato tutta una serie di problematiche legate al servizio centrale di protezione, si è detto in difficoltà nel vivere nel luogo dove è stato collocato ed ha più volte ribadito di non sentirsi al sicuro. «Questa situazione – ha sostenuto Foggetti – mi crea molti problemi, ho difficoltà a vivere normalmente». Foggetti è stato un pezzo grosso della criminalità organizzata cosentina, ha iniziato a collaborare con la giustizia nel dicembre del 2014, per paura di essere ucciso dal boss Maurizio Rango. In passato è stato reggente del clan di Paola, nel curriculum non mancano condanne per varie estorsioni commesse tra Paola e Cosenza, l’omicidio e l’occultamento di cadavere di Luca Bruni e la contestazione dell’associazione mafiosa. Il collaboratore è stato chiamato a testimoniare nell’odierna udienza insieme ad un altro collaboratore di giustizia cosentino, Giuseppe Montemurro.
In accordo con le parti, sono stati acquisiti entrambi i verbali resi dai due ex uomini legati alla mala bruzia. Nella prossima udienza saranno escusse le parti offese.
A Paola e San Lucido i carabinieri del Comando provinciale di Cosenza, con il coordinamento della Dda di Catanzaro, hanno dato esecuzione nel maggio del 2023 ad un’ordinanza applicativa di misure cautelari emesse dal gip di Catanzaro, nei confronti di 37 indagati, in ordine al delitto associazione di tipo mafioso, estorsione e tentata estorsione aggravata, trasferimento fraudolento di valori, detenzione e porto illegale di arma comune da sparo, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti in concorso, anche aggravati dalle modalità e finalità mafiose e altri reati, a vario titolo loro rispettivamente contestati. L’accusa è convinta di aver assestato un duro colpo ai clan Tundis e Calabria: tra le accuse quella di imporre il pizzo alle imprese impegnate nei lavori pubblici e privati e ai commercianti operanti nell’area tra Paola e San Lucido. (f.b.)
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