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processo “propaggine”

‘Ndrangheta, le indagini sui clan a Roma e la “soffiata” del finanziere infedele: «Qua c’è una cosa grossa con i calabresi»

La fuga di notizie, i timori di Antonio Carzo e il trasferimento in Calabria. «La famiglia nostra vorrebbero possibilmente distruggerla»

Pubblicato il: 05/11/2024 – 7:01
di Mariateresa Ripolo
‘Ndrangheta, le indagini sui clan a Roma e la “soffiata” del finanziere infedele: «Qua c’è una cosa grossa con i calabresi»

ROMA Una fuga di notizie sulle indagini che stavano conducendo i carabinieri sul clan di ‘ndrangheta Alvaro attivo a Roma. L’episodio, che emerge attraverso due conversazioni captate nel febbraio 2018 tra gli esponenti di spicco arrestati nel corso dell’operazione “Propaggine”, sono elemento di analisi in una memoria della Procura Generale depositata nel processo d’appello. Un fuga di notizie per la quale, secondo la Procura, sarebbe stato centrale il ruolo del boss Pasquale Vitalone che avrebbe avvertito Antonio Carzo.

Il finanziere infedele e la fuga di notizie

«Ora mi diceva Pasquale… pure questo fatto qua…la situazione un poco…non so se te lo ha detto a te…che è proprio qua a Roma… si…si…che il… GIC..(fonetico)…gli ha detto…sono andati oggi…forse ancora non te l’ha detto perché sono andati oggi…gli hanno detto qua c’è una cosa grossa con i calabresi…». Il 10 febbraio 2018, Antonio Carzo riferisce così a Giulio Versace di essere stato avvertito dell’esistenza di un’indagine sui componenti della cosca Alvaro radicati nel Lazio, che avrebbe portato a numerosi arresti. La “talpa”, fonte della fuga di notizie, sarebbe stato un militare del Gico della Guardia di Finanza che, secondo quanto ricostruito dalla Procura attraverso le conversazioni captate, disponeva di informazioni precise sull’indagine della Dda di Roma: «Dice una cosa grossa a Roma…dice…che siete voi altri calabresi…proprio…voi altri proprio…mi ha detto Pasquale…boh…per me…tutti voi altri”. Confida Carzo a Versace. «Carzo – sottolinea la Procura – nel riferire i suoi timori in merito ai soggetti che avrebbero potuto essere coinvolti nell’indagine, tracciava un sommario organigramma del locale di Roma, di cui facevano parte non solo i Vitalone-Versace, ma anche lo stesso Carzo Antonio, Alvaro Vincenzo, i Palamara e tutti gli altri componenti di quella che definisce la “squadra nostra”: «Dice…che “siete voi altri calabresi…proprio…voi altri proprio”…e Pasquale ha pensato pure a me (Carzo Antonio)…a Vincenzo…tutti questi altri della squadra nostra…dice:… “noi altri…tutti quelli che siamo…una cosa grossa”…ha detto… che arrestano a voi…arrestano a Vincenzo… arrestati o a questi dei Palamara»

I timori di Antonio Carzo e il trasferimento in Calabria

«Ma non so io loro come caspita…vabbé io ho la raccomandazione da là sotto…». Afferma ancora Carzo, che esterna come non riuscisse a comprendere in che modo gli inquirenti avessero acquisito elementi a suo carico e faceva riferimento al fatto che lui aveva avuto la raccomandazione “da là sotto”, cioè l’autorizzazione della Provincia per costituire il locale di Roma. «Proprio per tale ragione, – si legge nella memoria – evidentemente, il Carzo riteneva che gli inquirenti potessero aver ricostruito il suo ruolo, cioè avendo accertato l’autorizzazione che aveva ricevuto dalla casa madre calabrese per costituire il locale di Roma». E avendo timore di una imminente operazione, Carzo, aveva esternato l’ipotesi di rendersi irreperibile recandosi all’estero una volta terminata la sorveglianza speciale. Successivamente, però, «considerato che alla sorveglianza seguiva l’applicazione della misura di sicurezza, aveva deciso di trasferirsi in Calabria pur di scongiurare il coinvolgimento nell’operazione che sarebbe stata eseguita a Roma». (“La zona nostra…proprio la famiglia nostra vorrebbero possibilmente distruggerla“). (m.ripolo@corrierecal.it)

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