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‘Ndrangheta, la bomba al lido e il tentato omicidio a Vibo nel 2001. «Doveva pagare per quello che aveva fatto»

Un atto intimidatorio al clan per un debito non pagato, poi la “vendetta”. Il pentito Accorinti racconta in aula il piano e la sparatoria

Pubblicato il: 06/11/2024 – 6:21
‘Ndrangheta, la bomba al lido e il tentato omicidio a Vibo nel 2001. «Doveva pagare per quello che aveva fatto»

VIBO VALENTIA Prima l’intimidazione al villaggio, poi il tentato omicidio per “vendetta”. Tutto per un debito di droga, come racconta in aula il collaboratore di giustizia Antonio Accorinti, figlio del presunto boss Antonino e membro dell’omonimo clan. Nel corso delle udienze del processo Maestrale, svolte prima nell’aula bunker di Lamezia e ora tornate nel Palazzo di Giustizia di Vibo in seguito all’alluvione, il pentito, incalzato dalle domande della pm Annamaria Frustaci, riferisce di un tentato omicidio ai danni di un soggetto non menzionato, avvenuto a tra Vibo e Pizzo intorno al 2001 e di cui sarebbero responsabili proprio i membri della ‘ndrina Accorinti-Bonavita. Il pentito racconta del progetto omicidiario, della fase operativa e anche del malumore dei giorni successivi a causa del fallimento del piano, con la vittima ferita ma non in pericolo di vita.

Un atto intimidatorio per un debito non pagato

Accorinti spiega la genesi dello scontro con il soggetto, ovvero «un attento intimidatorio, dinamitardo, al mio lido, al bar». Una bomba che causa ingenti danni alla struttura: «C’era un po’ di allarme, di preoccupazione, di nervosismo per quello che era accaduto» spiega il collaboratore. Dopo l’atto intimidatorio si sarebbe mosso anche Pantaleone Mancuso alias “Scarpuni”, incontrando i membri della ‘ndrina di Briatico e riferendo di problemi con una persona a causa di un carico di stupefacenti. Una questione di cui, a dire del pentito, né lui né il padre sapevano nulla. Si scoprirà solo il giorno dopo, racconta Accorinti, che Salvatore Muggeri e Giuseppe Armando Bonavita «avevano acquistato da un soggetto della marijuana, questa sostanza l’avevano ceduta a un soggetto di Tropea che ancora non l’aveva pagata. Quindi loro praticamente non avevano saldato il debito con questa persona», causando di fatto la reazione di quest’ultima tramite un attentato dinamitardo. Da qui in poi sarebbe iniziato un “valzer” di incontri tra gli Accorinti e i Bonavita, conclusi con l’intenzione di «saldare questo debito».

L’attentato per «fargliela pagare»

Ma per il clan, quell’attentato non poteva di certo passare inosservato. «Bonavita me ne parlava sempre nel senso che erano molto arrabbiati, sia lui che mio padre» continua a raccontare il collaboratore. È in questo momento che iniziano a pianificare i dettagli per un attentato. «Ci dissero di tracciare i movimenti di questa persona perché doveva comunque pagare quello che aveva fatto». Prima avrebbero comunque saldato il debito, poi sarebbero passati all’attentato secondo un piano ben preciso, dopo aver studiato e osservato tutti gli spostamenti quotidiani della vittima. «Un giorno venne mio cugino a casa e salimmo a Vibo. Quando arrivammo mi disse: dobbiamo vedere quando scende questo soggetto, e ci siamo parcheggiati quasi di fronte all’Hotel 501». Poco più avanti, allo svincolo tra Longobardi e la strada che porta a Pizzo, ad attendere il passaggio della vittima ci sarebbe stata un’altra macchina, che a sua volta avrebbe avvisato gli incaricati esecutori materiali dell’omicidio. «Ad un certo punto io lo riconobbi» afferma Accorinti, riferendosi alla vittima e dando il via al piano e alla comunicazione alla seconda macchina. «Abbiamo usato un termine, il pesce spada sta scendendo». Il via libera alle altre due macchine culmina nell’attentato, ma senza risultare fatale per la vittima che, seppur ferita, riesce a sopravvivere. Un esito non gradito dal clan, con il collaboratore che si sarebbe recato dal padre criticando i due soggetti che avevano sparato: «Gli dissi: lasciali stare che non valgono niente, perché non avevano centrato bene il bersaglio».

Una versione “concordata” in caso di operazioni

A distanza di numerosi anni, poco prima che decidesse di collaborare con la giustizia, Accorinti avrebbe anche concordato insieme al padre una versione qualora la storia dell’attentato fosse venuta fuori. «Io gli consigliai, eventualmente fosse scattata qualche operazione, di dire che era in pellegrinaggio e io avrei detto la stessa cosa». Un alibi ad hoc, dunque, creato per il padre. Piano che sarebbe stato effettivamente attuato, con il pentito che, durante i primi interrogatori, inizialmente conferma l’assenza del padre. Versione mantenuta fino alla decisione di collaborare con la giustizia.(Ma.Ru.)

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