COSENZA Fusione o Unione dei Comuni? Mentre si avvicina la data del referendum sulla città unica – domenica 1 dicembre – e intanto si attende la pronuncia del Tar sulla sospensiva l’architetto Sabrina Barresi, urbanista e a lungo dirigente a Palazzo dei Bruzi, fornisce un excursus delle occasioni perse per una reale condivisione dei servizi nell’area urbana: excursus lungo oltre 15 anni e che va dal Por al Pnrr. Eppure c’è stata una stagione – ne ha parlato qui Sandro Principe intervistato dal Corriere della Calabria – in cui dalle due sponde del Campagnano a cavallo dei due secoli gli allora sindaci Principe e Mancini disegnarono una nuova idea di sviluppo condiviso, fatto di servizi – in primis i trasporti e la mobilità con l’idea BinBus oggi rimpianta da più parti.
«Speciosa appare oggi la domanda, o anche solo l’ipotesi, di preferire l’unione dei comuni alla fusione di Cosenza, Rende e Castrolibero – riflette Barresi –. L’unione dei Comuni, facoltativa per centri urbani con popolazione superiore ai 5.000 abitanti, offre alle amministrazioni l’opportunità di associarsi per gestire in forma congiunta funzioni e servizi, mirando a razionalizzare la spesa pubblica, semplificare le procedure amministrative e rendere più efficienti i servizi, generando economie di scala a vantaggio delle comunità. Sarebbe stato, quindi, opportuno, se non addirittura necessario, che i diversi amministratori succedutisi nella gestione dei nostri territori avessero avviato l’esercizio associato di funzioni fondamentali come sicurezza e gestione del territorio, viabilità e accessibilità, servizi sociali, gestione dei rifiuti, adattamento ai cambiamenti climatici e organizzazione amministrativa».
Ciò che con tutta evidenza non è accaduto: la carenza di coordinamento tra comuni emerge con evidenza dai dati riportati dall’ultimo rapporto Cnel sui servizi pubblici del 2024 che confermano come il Sud Italia, Calabria inclusa, resti in coda alla modernizzazione della macchina amministrativa, scontando inefficienze strutturali, costi elevati e servizi pubblici inadeguati. Alla fragilità amministrativa si affiancano indicatori socioeconomici allarmanti: crescente povertà, deterioramento dei servizi sanitari e scolastici, peggioramento delle condizioni di vivibilità urbana e aumento delle disuguaglianze di genere.
«I Comuni calabresi – osserva Barresi – hanno avuto molte opportunità di sviluppare forme di associazionismo cooperativo grazie agli incentivi e alle iniziative messe in campo da enti sovraordinati. Sia a livello nazionale che nell’ambito dei Programmi Operativi Regionali (POR) finanziati dall’Unione Europea, sono state previste risorse dedicate alla cooperazione intercomunale e allo sviluppo integrato delle aree urbane. Con il Pnrr, i Comuni hanno ricevuto importanti risorse per promuovere lo sviluppo di progetti congiunti in settori strategici quali la transizione ecologica, la mobilità sostenibile, la digitalizzazione e il welfare comunitario. I fondi richiedono però una capacità di cooperazione intercomunale per raggiungere obiettivi di ampio impatto e realizzare opere significative in un’ottica di sostenibilità e competitività territoriale. Allo scopo il Ministero per gli Affari Regionali e Autonomie ha fornito linee guida e risorse per incentivare l’associazionismo tra comuni limitrofi, in particolare in regioni come la Calabria, dove la frammentazione amministrativa ostacola l’efficienza».
A livello locale, l’architetto ricorda che uno dei principali tentativi è stato il Piano Strategico Cosenza-Rende del 2007 «che avrebbe potuto costituire una pietra miliare per l’integrazione dei due comuni e di altri limitrofi, prevedendo una pianificazione unitaria dell’area urbana su temi strategici come infrastrutture, mobilità, sviluppo economico e politiche sociali. Grazie a un processo partecipativo ampio, il piano aveva prodotto studi di fattibilità e interventi concreti, ma si è arenato a causa di priorità diverse e divergenze politiche tra le amministrazioni comunali».
Una nuova opportunità è stata offerta, nel 2008, dal Piano Urbano della Mobilità dell’Area Urbana Cosenza-Rende mirato a rispondere alle esigenze di mobilità integrata, ridurre il traffico privato e a potenziare il trasporto pubblico. Se attuato, avrebbe permesso di raggiungere livelli di accessibilità e competitività territoriale significativi, facilitando lo spostamento di gran parte della popolazione provinciale verso l’area urbana in tempi ridotti. Tuttavia, le divergenze di visione sulla gestione della mobilità e la mancata sinergia politica, hanno vanificato il progetto, portando a una frammentazione delle iniziative e lasciando irrisolte le criticità del traffico e dell’accesso.
Dieci anni dopo quel piano, nel 2018, il riconoscimento della conurbazione Cosenza-Rende come uno dei tre poli urbani calabresi di livello regionale, nell’ambito del POR Calabria 2014-2020, ha aperto la strada a finanziamenti per la sostenibilità urbana e lo sviluppo integrato dell’area. «Questa opportunità avrebbe potuto rafforzare le infrastrutture comuni, migliorare i servizi e rendere più competitiva la conurbazione Cosenza-Rende. Tuttavia, l’assenza di una strategia condivisa e l’incapacità di superare le rivalità amministrative hanno impedito l’efficace utilizzo delle risorse disponibili, lasciando irrisolte le inefficienze che continuano a gravare sul territorio».
Anche i fondi del Pnrr – annota ancora Sabrina Barresi – e altri programmi nazionali, aventi analoghe finalità, sono stati in parte ostacolati. Cosenza e Rende, agendo in modo autonomo anziché come un’unità integrata, disperdono risorse e rallentano la modernizzazione delle rispettive amministrazioni. Le opportunità perse nella cooperazione tra Cosenza e Rende si collocano in un contesto di miopia politica e rivalità amministrative che hanno frenato qualsiasi tentativo di convergenza verso un modello urbano integrato. Ogni tentativo di pianificazione associata si è scontrato con resistenze locali, particolarismi e scarsa volontà di superare le divergenze, lasciando irrisolte le sfide della modernizzazione e dell’efficienza dei servizi. Di conseguenza le diseconomie di scala e le inefficienze strutturali continuano a gravare sulle comunità locali, privandole dei vantaggi che una reale integrazione potrebbe offrire.
«Gli esempi richiamati dimostrano come, negli anni, le amministrazioni non abbiano realmente perseguito politiche di cooperazione strutturata, nonostante le premesse, gli strumenti e le risorse fossero a loro disposizione. L’attuale proposta di unione tra i comuni non sembra rappresentare una soluzione autentica ai bisogni territoriali, ma appare piuttosto come un tentativo di ostacolare la più ambiziosa e strutturale proposta di fusione, che potrebbe finalmente condurre alla nascita della città unica, capace di rispondere efficacemente ai bisogni delle comunità, eliminando le diseconomie che ancora penalizzano lo sviluppo socio-economico di questo territorio» conclude Barresi. (euf)
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