COSENZA «Quando c’era Berlinguer…». Anche nel palazzo della Provincia di Cosenza qualcuno sussurra nostalgico la frase che riporta ai tempi del segretario del Pci, uno dei personaggi più iconici, carismatici e indiscutibili della Prima Repubblica. A Cosenza, il giornalista e scrittore Marcello Sorgi presenta il suo ultimo libro “San Berlinguer“, che ripercorre la parabola del leader politico dall’enunciazione della strategia del «compromesso storico», che porterà al confronto con il presidente della Dc Aldo Moro e ai governi di solidarietà nazionale presieduti da Andreotti, al progressivo distacco dall’Unione Sovietica. Ma la sinistra, oggi, ha ancora bisogno di Berlinguer? «Berlinguer appartiene al suo tempo. Nei 40 anni trascorsi dalla sua morte ha avuto il tempo di essere crocifisso, rivalutato, studiato, criticato e alla fine mitizzato. Io trovo che la mitizzazione sia la condizione più difficile per valutare veramente la forza di un leader, la forza della sua linea politica, perché naturalmente il mito non consente nessun tipo di valutazione né in positivo né in negativo, il mito è il mito, però rimane senz’altro una delle figure più importanti della fine del secolo scorso e una delle figure centrali della crisi della prima repubblica».
Altri tempi, altra Italia, ma oggi con quel carisma e soprattutto quel consenso, Berlinguer avrebbe «governato a mani basse, oggi i suoi voti non li prende un’intera coalizione. La somma dei voti dei comunisti e della democrazia cristiana era più del doppio di quello che prendono oggi le coalizioni», dice Sorgi. Che poi si sofferma sull’attuale situazione della sinistra italiana. «Il centrodestra esiste da 30 anni, ha le sue divisioni interne, spesso queste divisioni si accentuano, però poi nei momenti importanti riesce a coalizzarsi e a presentarsi davanti ai suoi elettori in maniera incredibile. Il centrosinistra certe volte sì, certe volte no, questa è la verità e in questo momento non sembra che tutti i possibili membri dell’alleanza di centro-sinistra siano convinti di fare l’alleanza». Per Sorgi non bisogna dimenticare che «in Italia le elezioni non si vincono, le perdono sempre gli altri».
Perché “San Berlinguer”? «Lo racconto nell’ultima pagina del libro, se fosse un giallo non lo racconterei. Ero uno dei sei cronisti che il Messaggero mandò ai funerali di Berlinguer, un evento enorme, io non ho mai visto più niente di quelle dimensioni e mi è rimasto impresso il fatto che tutti quelli che marciavano per andare in piazza San Giovanni, e tanti non riuscirono ad entrarci perché la piazza era traboccante, dicevano “Enrico, Enrico, Enrico”: lo chiamavano come se non fosse morto». «Molti anni dopo – prosegue Sorgi – ci furono i funerari di Papa Giovanni Paolo II e io andai in incognito perché nel frattempo ero diventato direttore, non facevo più il lavoro in prima linea. Rimasi molto colpito da una piccola comunità di polacchi che gridavano “Santo subito” e furono anche accontentati in un breve tempo, in nove anni il Papa fu santo» e «mentre stavo lì e sentivo i polacchi gridare mi tornarono in mente i compagni di Berlinguer che urlavano il suo nome e pensai che in fondo anche i comunisti hanno avuto il loro santo, San Berlinguer». (f.b.)
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