VIBO VALENTIA Non solo Cosenza, ma anche Vibo potrebbe avere la “sua” città unica. Se nel primo caso il progetto di fusione, o quantomeno la proposta, è già realtà, Vibo è ancora ai nastri di partenza. Ma dopo gli anni della pandemia e dopo un passaggio in Consiglio comunale nel 2022, si riapre il dibattito e incombe nuovamente nell’agone politico vibonese il tema della grande “Valentia“, il progetto, presentato dall’omonima associazione, che prevede la fusione di 14 comuni del Vibonese. Per la creazione di un unico ente che rappresenterebbe la terza città più popolosa della Calabria. Di fronte a numerosi sindaci, tra i quali quello del capoluogo Enzo Romeo, presso l’auditorium della biblioteca comunale, si è tenuto un convegno per approfondire l’ipotesi di studio proposto dall’associazione Progetto Valentia. A relazionare, oltre al presidente Nicola Cortese e al vicepresidente Diego Brancia, anche la docente Unical di Economia aziendale Maria Nardo e il docente di politica economica Francesco Aiello. Diversi esponenti politici in sala per partecipare al dibattito, come i consiglieri regionali Michele Comito, Raffaele Mammoliti, Antonio Lo Schiavo e Francesco De Nisi.
Ben 14 comuni coinvolti, una città da oltre 78 mila abitanti e una superficie di circa 326 chilometri quadrati, in pratica un’ampia zona che da Mileto raggiunge Pizzo. Gli altri comuni “inclusi” sarebbero: Briatico, Cessaniti, Filandari, Filogaso, Francica, Jonadi, Maierato, San Costantino, San Gregorio, Sant’Onofrio, Stefanaconi e il capoluogo Vibo Valentia. L’ipotesi di studio avanzata dall’associazione Progetto Valentia mira alla «nascita di un nuovo ente locale avente delle caratteristiche di una maggiore dimensione, sia come confini comunali come numero di abitanti dal punto di vista demografico» spiega il presidente dell’associazione Nicola Cortese, che già da anni spinge sull’idea di unificare i comuni vibonesi. «Sicuramente ci darebbe una marcia in più per poter competere con le altre realtà della Calabria e anche a livello nazionale». I vantaggi, spiega, sarebbero molteplici: «I principali sono di tipo economico-finanziario, perché più si è grandi e più si riesce ad attrarre dei finanziamenti statali. Ma sarebbero anche di tipo economico-amministrativo, con le spese della macchina comunale decisamente ridotte a fronte di una maggiore erogazione di servizi efficienti essenziali per i cittadini».
Ad approfondire vantaggi e svantaggi della fusione tra i comuni i docenti Unical Maria Nardo e Francesco Aiello, che già aveva affrontato il tema lo scorso agosto con il Corriere della Calabria. «Le fusioni funzionano dove le comunità partecipano attivamente alla costruzione della nuova città» afferma Aiello, che cita l‘esempio calabrese di Casali del Manco. Sulla sua utilità, il professore specifica che «dipende dalle condizioni. Io penso che in Calabria siano utili perché col venire meno delle province abbiamo una governance territoriale polarizzata e asimmetrica, in virtù del fatto che ci sono piccoli comuni deboli in confronto a una Regione che ha una forza estrema in termini di bilancio, di dimensione, di capacità di programmazione». Ma una riorganizzazione che preveda minori costi e maggiori servizi percettibili dalla comunità «richiede anche tempo, che è necessario affinché tutto proceda nella direzione sperata».
La professoressa Maria Nardo propone un’analisi più economica: «La domanda più comune è se i cittadini pagheranno meno tasse. Di certo se l’aliquota è già al massimo non si può andare oltre». Sul perché un Comune non in dissesto dovrebbe unirsi a uno in dissesto, tra le critiche avanzate alla fusione che riguarda Rende e Cosenza, Nardo risponde: «Bisogna essere onesti col dire che eventuali debiti non spariscono, non li può ripagare lo Stato e ricadrebbero sul nuovo ente». D’altra parte, la fusione consentirebbe di accedere agli incentivi proposti per soluzioni del genere: «Parliamo anche di 10 milioni all’anno in determinate condizioni, che potrebbero continuare anche per 15 anni». Cifra che, aggiunge Aiello, il Mef «sta pensando di vincolare per la creazione di nuovi servizi e non utilizzarli per ripianare debiti». La proposta, avanzata dalla professoressa Nardo, è di pensare già da ora ad una unificazione di alcuni servizi che consenta di preparare una possibile fusione futura.
Tra le principali obiezioni avanzate dai sindaci c’è la questione identità e coinvolgimento della comunità. Soprattutto si corre il rischio «che si perda un punto di riferimento per la comunità, come il sindaco oggi lo è nei comuni con poca popolazione» afferma il primo cittadino di Pizzo Sergio Pititto, che premette di non essere per il no preventivo alla fusione ma invita «ad aprire una riflessione sull’identità» che i paesi rischierebbero di perdere. «Pensare di fondere delle realtà con identità, tradizioni, con un modo di essere diversi non sarà semplice» afferma il sindaco del capoluogo Enzo Romeo. «Ma dobbiamo mettercela tutta per arrivare a garantire più servizi e meno spese». d alimentare dubbi nei primi cittadini è anche la distanza fisica e “urbanistica” tra un Comune e un altro, mentre altri – si è citato il caso di Jonadi, San Costantino e Vibo – sembrano prestarsi di più alla fusione. «Magari – conclude il presidente dell’associazione Nicola Cortese – è una proposta molto ambiziosa, ma è sempre perfettibile. Ovviamente ogni comune ha la propria identità, ma qualora dovesse nascere questo nuovo grande ente locale i comuni non la perderebbero». (Ma.Ru.)
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