ROMA Settecentomila marchi tedeschi trasportati dalla Calabria a Roma e consegnati al boss Antonio Carzo. Soldi – corrispondenti a circa 350mila euro – che risalivano agli anni Settanta e provento di attività illecite. La vicenda, avvenuta nel maggio 2018, viene ripresa nella memoria che i pm romani hanno depositato nel processo d’appello in abbreviato scaturito dall’operazione “Propaggine”, l’inchiesta che ha svelato l’esistenza del primo “locale” di ‘ndrangheta a Roma. Il sodalizio aveva al vertice Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro, appartenenti alla ‘ndrangheta di Sinopoli, nel Reggino, e che dal 2015 erano a capo del “locale” dopo avere ottenuto l’investitura ufficiale dalla “casa madre” in Calabria.
Nell’ambito della vicenda in questione spicca la figura di Simone Simari, che secondo i pm rivestì un «ruolo determinante»: Simari infatti è considerato «personaggio di assoluta fiducia» del boss Carzo: «Era Simari a consegnare a Carzo i 700.000,00 marchi ed era Simari il soggetto a cui Carzo si rivolgeva, per interposta persona, per un nuovo trasporto di marchi dalla Calabria. Ed anche in questo caso Simari si metteva a disposizione». Al trasporto aveva preso parte anche il suocero di Simari, Luigi Monteleone, le cui dichiarazioni nel corso di una conversazione captata dagli investigatori, secondo i pm, hanno una particolare valenza. «Non sia mai che ci fermano», aveva detto Monteleone al genero parlando del pericolo di essere scoperti.
Il denaro, poi, risale agli anni Settanta. E proprio questo particolare viene sottolineato prima dal gup e poi dai pm nella memoria. Gli anni ’70 in Calabria hanno rappresentato il periodo in cui la ‘ndrangheta si è arricchita con i sequestri di persona e le richieste estorsive connessi ad essi. Il gup – scrivono i pm – aveva infatti evidenziato che «le somme in questione non potevano che essere provento di reato e aggiungendo che risalivano agli settanta, periodo in cui la ‘ndrangheta era responsabile di sequestri di persona a scopo di estorsione». Da quanto emerge, il denaro era rimasto occultato per anni in Calabria, senza la possibilità da parte di chi lo custodiva, di essere trasportato: «Deve piuttosto sottolinearsi, quanto alla gravità del fatto, che si trattava di banconote occultate da decenni in Calabria, probabilmente perché provento di reato, sicché si era negli anni temuto che la presentazione per il cambio con moneta corrente potesse destare sospetti e condurre ad un collegamento con l’attività illecita nell’ambito della quale i marchi erano stati acquisiti (si tenga conto che si tratta di banconote emesse negli anni ’70, quando la Calabria era territorio di elezione per i sequestri di persona». (m.ripolo@corrierecal.it)
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