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Sedici anni di processo e ora l’assoluzione definitiva: finisce il calvario di Menniti

Assolto l’ex sindaco di Falerna, professore ordinario all’Unical, al termine del lungo procedimento per la morte di un operaio

Pubblicato il: 10/11/2024 – 17:25
Sedici anni di processo e ora l’assoluzione definitiva: finisce il calvario di Menniti

Riceviamo e pubblichiamo

FALERNA Sedici lunghi anni di processi con due condanne in primo e secondo grado, con richieste risarcitorie in sede civile di circa due milioni e seicentomila euro, sino alla svolta, con un intervento della Cassazione con rinvio in appello e, infine,  l’assoluzione definitiva nel secondo processo d’appello, divenuta irrevocabile, per “non aver commesso il fatto”.  E’ quanto accaduto all’ex sindaco di Falerna, Daniele Menniti, professore ordinario presso l’Università della Calabria, si direbbe per aver scelto di servire i suoi concittadini. A marzo 2008 un operaio è morto nel comune di Falerna dopo essere caduto da un’altezza di oltre due metri mentre era dedito alla potatura di alcuni alberi. Da allora è stato avviato un procedimento che ha visto imputato l’allora sindaco di Falerna, Daniele Menniti, accusato di omicidio colposo per non aver assicurato che il lavoratore ricevesse una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute e per non aver fornito all’operaio i dispositivi di protezione individuale contro la caduta dall’alto. Dopo sedici anni, la Corte d’Appello di Catanzaro ha assolto Daniele Menniti per non aver commesso il fatto. Non solo. I giudici – Antonio Battaglia presidente e Paola Ciriaco e Barbara Saccà a latere – hanno affermato nelle motivazioni della sentenza che, il giorno dell’incidente, l’operaio era stato adibito all’attività di potatura sulla base di una disposizione impartita autonomamente dal coordinatore dei servizi esterni del personale, G.M, con tanto di firma autografa. Una disposizione affissa in diversi luoghi pubblici o aperti al pubblico, nonché comunicata ai singoli dipendenti interessati- e «in alcun modo» riconducibile al sindaco.  Una circostanza, questa, confermata da diversi riscontri emersi durante il dibattimento di appello bis.  Quindi, un lungo e doloroso iter giudiziario quello che ha visto coinvolto l’Ex Sindaco di Falerna Daniele Menniti per la morte dell’operaio, e che ha visto condannare in primo e secondo grado. Poi, la svolta e davanti alla Corte di cassazione la sentenza di condanna di Menniti, difeso nel frattempo dal professore Mario Murone, è stata annullata con rinvio. “Le circostanze emerse in Cassazione e durante l’appello bis – dichiara Menniti- potevano essere tutte ampiamente verificate sin dalle prime battute dell’udienza di primo grado! Purtroppo, così non è stato e nel successivo primo processo di appello si è ripetuta la stessa cosa”.  Ma in Cassazione, gli Ermellini hanno rilevato che «la vittima il giorno dell’evento mortale aveva svolto l’attività di potatura degli alberi in esecuzione di un ordine di servizio stampato e affisso alla casa comunale, contenente l’elenco delle attività da svolgere e dei nomi dei lavoratori incaricati, sottoscritto» dal coordinatore dei servizi esterni, G.M.. A questo punto la Suprema Corte ha rilevato l’esigenza di «un approfondimento istruttorio per accertare le modalità organizzative concrete dell’apparato comunale e la ripartizione delle funzioni tra i vari soggetti». «Il giorno della caduta – scrive la Suprema Corte –, risulta che l’operaio sia stato adibito all’attività di potatura sulla base di un ordine di servizio a firma di M. G. affisso alla porta del Comune e che in alcun modo tale documento possa essere ricondotto al sindaco». Si chiude così, dopo 16 anni, un tragico evento. Un triste epilogo, un calvario per l’ex Sindaco costretto ad affrontare anni di inutili processi, mentre non hanno ottenuto né giustizia in sede penale e né il conseguente risarcimento del danno in sede civile, coloro  che, “con scelte molto discutibili e ingiustificate” -dichiara ancora l’ex Sindaco Daniele Menniti- “hanno tentato di perseguire la mia persona a tutti i costi e inutilmente, arrivando a chiedermi in sede civile un risarcimento di ben due milioni e seicentomila euro”. “Anni di sofferenze e di stress per me e per la mia famiglia, reo soltanto di aver dato tutto me stesso per il bene della cittadinanza amministrata. Circostanze simili rendono sempre più difficile trovare gente disponibile a volersi impegnare per la cosa pubblica”, conclude Menniti.

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