COSENZA Il Tar della Calabria ha respinto i quattro ricorsi presentati nei giorni scorsi contro la Regione Calabria, rappresentata dall’Avvocatura regionale e dagli avvocati Achille e Oreste Morcavallo. Domenica primo dicembre, dunque, il referendum darà la possibilità ai cittadini di esprimere voto favorevole o contrario alla fusione di Cosenza, Rende e Castrolibero. Intanto, il fronte del “Si” e quello del “No” si mobilitano. Il Corriere della Calabria, ospita il confronto tra l’ex deputato Giacomo Mancini, che guida i comitati per il “Sì” costituiti dal Pd e Mimmo Talarico, già consigliere regionale, profondo sostenitore delle ragioni del “No”.
Mancini: «Diciamo Si per almeno dieci buone ragioni. La nuova città unica sarà, dopo Reggio Calabria, che però è città metropolitana, la città più popolosa della Calabria, con 110 mila abitanti, e cosi potrà esercitare una leadership maggiore in provincia di Cosenza, in Calabria e nel mezzogiorno. Sarà più ricca, perché attrarrà capitali, investimenti e persone e così aumenterà la ricchezza di chi vi vive. Sarà più efficiente: una sola amministrazione (invece delle tre attuali che non programmano insieme e spesso nemmeno comunicano) tutela meglio le esigenze di cittadini che organizzano la propria vita in un territorio unico e senza confini. Avrà una burocrazia più efficiente e ne ridurrà i costi cancellando le duplicazioni di uffici e servizi tecnici, ottimizzando e valorizzando le risorse umane e le competenze tecniche. Avrà più risorse e migliori servizi: perché si applicheranno economie di scala che garantiscono a fronte dello stesso costo pro capite migliori servizi per i cittadini. E poi costerà di meno ai cittadini: un solo sindaco, una sola giunta, un solo consiglio. Farà pagare meno tasse: adesso i tre comuni applicano l’aliquota massima. E sarà una citta avrà con meno feudi personali e con più ricerca e innovazione con una università protagonista dello sviluppo».
Talarico: «Qual è la proposta di Città Unica? Accanto a questa domanda non vi è alcun progetto, non vi è alcuna prospettiva, non vengono affrontati i nodi centrali necessari perché si costruisca una nuova città. Per costruire una città ci vuole intanto il consenso dei cittadini, e lo si acquisisce entrando nel merito delle questioni. Non vedo nessuna convenienza per i cittadini, quelli di Rende e di Castrolibero dovrebbero rinunciare a standard qualitativi oggi sicuramente superiori, certamente accettabili rispetto a Cosenza per andare incontro all’ignoto. La fusione altrove la si fa per migliorare la qualità della vita dei cittadini, al momento ho l’impressione netta che questa possibilità non ci sia e quindi è naturale propendere per il no. Siamo di fronte ad una campagna referendaria portata avanti da parte di quelli del “Sì” solo attraverso slogan. Qualsiasi democratico dovrebbe ribellarsi di fronte a un atto di prepotenza, quale è quello che si sta consumando nell’area urbana Cosenza-Rende».
Mancini: «Dagli studi pubblicati dall’Anci, dall’Istat e dalle università italiane, le esperienze della fusione tra comuni sono giudicate molto positivamente. Leggendo queste ricerche mi ha colpito il fatto che nelle regioni più ricche ci sia stato finora fermento e dibattito per cercare di ricorrere a questo strumento per essere più competitivi, per aumentare l’efficienza delle amministrazioni e per ridurne i costi. Un esempio che anche in questa parte del mezzogiorno dobbiamo cercare di seguire avendo sempre ferma la capacità di compiere tutti i passi necessari per garantire un miglioramento reale alla vita dei cittadini coinvolti».
Talarico: «La Corte dei Conti ha detto una ovvietà, colpisce perché proviene da una istituzione autorevolissima, ma quello che dice viene ripreso, legittimato, rafforzato da una miriade di economisti. In Calabria, nel resto d’Italia e in Europa. Va da sé che le cosiddette economie di scala hanno valore solo per comuni che abbiano una certa dimensione. È anche vero che questa utilità marginale a certo punto si arresta. Quindi i nostri legislatori caserecci avrebbero fatto bene a prendere in considerazione le avvertenze provenienti da mondi in qualche modo estranei alla contesa locale, autorevoli e terzi».
Mancini: «Assolutamente no. A parte che dal punto di vista strettamente amministrativo la città unica potrà essere articolata nei cd municipi, e cioè realtà con singole ed autonome competenze e poteri maggiori di quelle che avevano le circoscrizioni di una volta, ma poi è evidente che ogni identità sarà preziosa ed attrattiva per dare vita ad una nuova identità comune che rappresenti tutti senza alcun spirito di annessione, ma anzi con rispetto della storia e della rappresentanza di ognuno».
Talarico: «L’identità non può essere trattata con disprezzo, come una zavorra. Ricordo ai legislatori caserecci che hanno proposto la legge di fusione, che Rende nel 1970 contava quasi 15 mila abitanti. Vi assicuro che non sono tutti morti, qualcuno è ancora in vita e merita rispetto per il senso di appartenenza e di identità. Poi c’è un’altra identità, costruita negli anni ’80-’90, quando è stata scelta da un pezzo della borghesia cosentina e da famiglie provenienti da altri comuni che hanno intravisto nella città di Rende migliori servizi, spazi verde, parcheggi, scuole a tempo pieno. Insomma un’identità recente che si è formata attraverso l’offerta di una nuova qualità della vita».
Mancini: «Dalla sera del primo dicembre si leggeranno i risultati. Per parte mia ritengo che il voto dei cittadini dovrà essere vincolante. Se sarà chiara ed evidente la volontà degli elettori di realizzare la fusione, spetterà subito dopo al consiglio regionale definirne la tempistica e la modalità della sua attuazione. Con attenzione alla definizione del nuovo statuto, del nuovo regolamento, della organizzazione dei nuovi uffici e con la valorizzazione delle competenze che vi lavorano. Ma poi occorrerà che il centrodestra, che al momento è maggioritario, presenti e proponga un piano di risorse straordinario per la nuova città in maniera che traduca in poste di bilancio i tanti annunci che sono stati fatti».
Talarico: «Intanto bisogna fare il referendum, il cui esito non è affatto scontato, anzi dalle prime fondate impressioni credo che a Rende e a Castrolibero prevarrà il no. Certamente se due su tre contraenti dovessero dire di no, si porrà una grande questione democratica. Credo che il percorso debba essere arrestato, altrimenti si viola palesemente la Costituzione. Si può e si deve dire di no per non legittimare la sciatteria, la superficialità e la prepotenza dei legislatori regionali. Io non mi fermerei al giorno dopo del referendum, il cui risultato è fondamentale. Da qui emerge l’indicazione che poi occorrerà seguire per affrontare la seconda fase, se mai una seconda fase ci sarà…».». (f.benincasa@corrierecal.it)
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