ROMA Una vera e propria «colonizzazione del tessuto economico», attraverso una penetrante azione destinata a «occupare aree di mercato e produttive inquinando il relativo tessuto sociale». Un modo di infiltrarsi all’interno del tessuto economico, escogitando «un modello di insediamento nuovo, ma allo stesso modo invasivo e pervasivo». Così la ‘ndrangheta è stata in grado di «adattarsi alle peculiarità della realtà sociale ed economica capitolina». Lo sottolineano i pm romani all’interno della memoria depositata nel processo d’appello in abbreviato “Propaggine”, scaturito dall’operazione che ha fatto luce sugli interessi della ‘ndrangheta nella Capitale e che vede alla sbarra esponenti della cosca Alvaro. L’inchiesta, scattata nel 2022 ha permesso di ricostruire le dinamiche criminali intorno alla cosca attiva a Sinopoli, Cosoleto e San Procopio e alla prima “locale” attiva a Roma, ad Anzio e Nettuno, che operava nella Capitale dopo avere ottenuto l’investitura ufficiale dalla casa madre in Calabria.
La Cassazione – si legge nella memoria – ha affermato il principio di diritto secondo il quale il reato di cui all’art. 416 bis è configurabile con riferimento ad una nuova articolazione territoriale della ‘ndrangheta qualora, fra le altre cose, il locale «attui una penetrante azione destinata ad “occupare” aree di mercato e produttive inquinando il relativo tessuto sociale». In riferimento alla sentenza del novembre 2022, con la quale è stata confermata l’ordinanza del Tribunale del Riesame relativa alla posizione di Vincenzo Alvaro, la Corte ha rilevato che la peculiarità del locale di ‘ndrangheta di Roma risiede nel fatto che «l’obiettivo non era e non è quello della sopraffazione fisica o morale di quanti venivano in contatto con i vari personaggi della locale, ma all’inverso, quello di consentire l’appropriazione di settori economici che escludessero di fatto un fisiologico libero mercato a tutto vantaggio di una gestione “seppur settoriale” di tipo “monopolistico”. Il modello di insediamento dell’associazione storica di riferimento – hanno rilevato i giudici – si adatta, pertanto, alla nuova realtà sociale ed economica di riferimento, venendo pertanto, ad arricchirsi di un ulteriore contenuto, allo stesso modo invasivo e pervasivo».
I pm romani, riprendendo le parole della Corte di Cassazione che si è pronunciata nell’ambito del processo in fase cautelare, e le considerazioni del gup, hanno messo in evidenza come i clan calabresi nella Capitale siano stati in grado di espandere la propria influenza «quando la ragione sociale (o scopo statutario) – per dirlo con le parole del gup -dell’organizzazione era l’infiltrazione nel tessuto economico capitolino mediante società o ditte fittiziamente intestate e nelle quali venivano investiti capitali illeciti».
E l’appropriazione di settori economici a cui si fa riferimento viene realizzata mediante continue intestazione fittizie delle attività commerciali operanti in vari settori economici, fino a conseguire una «colonizzazione del tessuto economico»: «La ‘ndrangheta si è mossa negli ultimi anni accaparrandosi progressivamente intere porzioni imprenditoriali nelle forniture, nel settore della ristorazione, nell’ambito del gioco: ha immesso capitali enormi che hanno alterato profondamente l’economia legale ma che al tempo stesso garantiscono a queste strutture mafioso posizioni dominanti attraverso cui affidare il sostegno ai propri sodali e il riflusso del denaro pronto ad essere investito».
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