COSENZA Seconda udienza del processo “Reset” ospitata nell’aula bunker di Castrovillari. Dopo l’escussione fiume e il controesame del collaboratore di giustizia Ivan Barone, tocca al pentito Francesco Greco detto “Checco” (rappresentato dall’avvocato Michele Gigliotti) rispondere alle domande del pm della Dda di Catanzaro Vito Valerio. Si tratta di uno dei fedelissimi di Roberto Porcaro, ex reggente del clan degli “Italiani” e per un breve periodo collaboratore di giustizia prima del dietrofront. La Dda di Catanzaro reputa Greco «partecipe dell’associazione e dedito alla commissione di diversi reati fine». Non ha ricevuto il “battesimo” di ‘ndrangheta e quando «Alberto Superbo mi chiese se fossi disponibile rifiutai».
In via preliminare, alcuni legali del Collegio difensivo sollevano nuovamente il tema legato alla celebrazione del processo al tribunale di Cosenza, sottolineando i “limiti” dell’attuale sede del procedimento priva di un «adeguato impianto di riscaldamento». La temperatura in aula – sottolinea l’avvocato Nucci – «è di 15 gradi». Prima di dare il via all’esame del testimone, dopo una breve camera di consiglio, la presidente del Collegio giudicante Carmen Ciarcia si esprime in merito al legittimo impedimento avanzato dalle avvocate Bozzarello e Gaetano, rigettando le istanze. Nel corso dell’esame del testimone, alcuni difensori eccepiscono «la nullità e l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal collaboratore perché non precedute dal deposito dei verbali». Anche in questa occasione, l’eccezione viene respinta dal Collegio giudicante.
Il pentito riferisce di essersi occupato dello spaccio di droga, della riscossione dei danari ricavati dal pagamento della tassa non dovuta e da quelli legati ai debiti di usura. «Ho iniziato a portare la droga tramite Roberto Porcaro, si trattava di cocaina, il costo era di 70 euro al grammo», dice Greco. «Una volta è arrivata una richiesta di 50 grammi per una somma di 3.500 euro. Mi sono occupato anche dello spaccio della stessa sostanza».
In merito al recupero dei danari per conto del clan, «tutti i commercianti pagavano». «Porcaro mi indicava i locali ai quale fare visita, dicevo “Porcaro, Patitucci e Piromallo ti mandano un abbraccio” e da questa frase i commercianti capivano che avrebbero dovuto pagare». Chi osava ribellarsi all’imposizione «riceveva una bottiglietta – riempita di benzina nel garage di Porcaro – e poi era costretto a pagare». Circostanza che vede protagonista – tra gli altri – un imprenditore proprietario di un allevamento di lumache nel Cosentino.
Qualora l’intimidazione non fosse stata sufficiente, «si passava ad una fase successiva». Il riferimento è «all’incendio di autovetture» e alle «minacce con le armi nei confronti della persona interessata o dei suoi familiari». Sollecitato dalle domande del pm, il testimone riferisce di essere a conoscenza di una estorsione perpetrata ai danni del titolare di un supermercato. «Pagava 6.500 a Natale e Pasqua, poi la rata è passata a 7.000 euro perché lo stesso imprenditore aveva aperto un altro supermercato. Le estorsioni, concordate da Porcaro e Patitucci, servivano per pagare gli avvocati e i detenuti».
C’è un altro settore sui quali la mala cosentina avrebbe messo le mani, quello della security nei locali e in occasione di eventi. Greco confessa: «mio cugino Giuseppe Caputo – intermediario della agenzia XXL – mi chiedeva di far intervenire Roberto Porcaro per l’Oktoberfest di Rende dove c’erano soldi da guadagnare. Fu mio cugino a prendere il lavoro». E il pentito aggiunge: «Caputo voleva il monopolio di tutta la security della Calabria». Giuseppe Caputo avrebbe avuto a che fare con Roberto Porcaro anche in relazione ad un prestito ad usura richiesto all’ex reggente del clan cosentino. «Ha ricevuto 5.000 euro, li ho consegnati io e prendevo 500 euro al mese come interesse dell’usura». In merito alla posizione di Carmine Caputo, invece, «era a disposizione del gruppo, si occupava di usura e veniva chiamato per partecipare ai pestaggi».
Il collaboratore di giustizia ammette di aver imposto prestiti ad usura, sempre «tramite Porcaro, con un tasso al 10%». «Anche in questo caso mi occupavo della riscossione dei soldi». Ovviamente non tutti i “clienti” erano puntuali nel pagamento delle rate imposte dal clan. Il pentito ricorda una serie di pestaggi effettuati. «Nel 2016, abbiamo picchiato un pastore e siamo andati insieme ad un cugino di Porcaro per fare una cortesia ai fratelli di Calabria, che gestiscono il territorio di San Lucido fino a Torremezzo, io e il cugino di Porcaro abbiamo effettuato il pestaggio e il pastore è stato in ospedale un mese». Secondo il racconto di Greco, «i rapporti criminali tra Porcaro e Calabria erano ottimi, sia per quanto riguarda il traffico di droga e sia per quanto riguarda le estorsioni». Anche nel 2018, Greco sarebbe stato protagonista di una aggressione ai danni di un cliente reticente a restituire i soldi ricevuti in prestito. «Ho picchiato un commerciante che non voleva pagare».
Droga, usura, estorsioni e anche armi. Per conto dell’ex reggente degli “Italiani”, Greco avrebbe anche trasportato «un kalashnikov destinato ai fratelli Calabria, e un altro dato ad un imprenditore di Bisignano. I fucili erano occultati, Porcaro aveva vicino casa in un terreno un vero e proprio arsenale». «Utilizzava i “pizzini” per comunicare, in un caso mi disse che aveva armi per fare la terza guerra mondiale».
Il pm, rivolgendosi al testimone, elenca una serie di nomi chiedendo lumi su eventuali rapporti. «Ho conosciuto l’ex moglie di Porcaro: Silvia Guido. Le ho consegnato i proventi di attività illecite come usura e droga e in caso di prestito ad usura potevo rivolgermi a lei». Sollecitato dal pm, ammette di aver avuto rapporti di conoscenza anche con Rosanna Garofalo, ex moglie di Francesco Patitucci. «Le ho consegnato i soldi dell’usura, in una circostanza consegnai 10mila euro con un tasso dell’8% mensile».
L’avvocato Antonio Quintieri, in sede di controesame, chiede al testimone di riferire su una aggressione avvenuta ai danni di un commerciante sotto estorsione. «Nel 2018 è avvenuta l’aggressione, non conoscevo questa persona, aveva un furgoncino. Vado da lui perché non voleva pagare. Andai con Ivan Barone, tramite Roberto Porcaro, a picchiarlo». Ha mai avuto rapporti con Sergio Del Popolo detto “Il Saponaro”? «No, mai».
Per le altre posizioni, vista l’assenza di alcuni legali impegnati in altri procedimenti, gli avvocati del Collegio difensivo chiedono alla presidente Ciarcia la possibilità di proseguire e dunque consentire il controesame alle colleghe assenti in una successiva udienza. Il tribunale rigetta la richiesta.
Prima della chiusura dell’udienza, l’imputato Francesco Stola rende dichiarazioni spontanee in merito alle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia. «Tutti i fatti raccontati sono falsi. Sull’episodio dell’usura che mi viene contestato non ho idea di dove si trovi la società. E poi non ho mai abitato in via Cattaneo come invece lui sostiene». (f.benincasa@corrierecal.it)
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