COSENZA «Per combattere e battere la cultura mafiosa, e in Calabria quella ‘ndranghetista, serve un cambiamento morale e culturale, nella testa e nel cuore. È necessaria una rivolta delle coscienze».
A pronunciare queste parole stamattina all’Università della Calabria, in un’aula Solano gremita di giovanissimi (soprattutto donne) studenti di Scienze dell’Educazione, è stato il procuratore della Repubblica di Lamezia Terme (e futuro procuratore di Catanzaro) Salvatore Curcio, ospite d’onore del seminario “Per una Pedagogia del Noi”, organizzato nell’ambito delle attività del corso universitario di Pedagogia dell’Antimafia, attivo presso il dipartimento di Culture, Educazione e Società dell’Università della Calabria. L’incontro moderato da Giancarlo Costabile, docente di Antimafia al DiCES dell’UniCal, è stato aperto dai saluti istituzionali delle Autorità Accademiche: Patrizia Piro, Prorettrice UniCal, e Roberto Guarasci, Direttore del DiCES, amico trentennale di Curcio con il quale ha collaborato negli anni ’90 nei maxi processi contro la ‘ndrangheta.
Rossana Adele Rossi, Coordinatrice del Corso di Studio Unificato in Scienze dell’Educazione e Scienze Pedagogiche dell’ateneo, ha avviato la discussione, a cui ha preso parte anche il nuovo Comandante provinciale dei carabinieri, il colonnello Andrea Mommo.
Accorato, caldo, coinvolgente, può essere racchiuso in queste parole l’intervento del procuratore di Lamezia Terme. «Io sono contento di essere qui – ha detto Curcio – mi occupo di fatti di ‘ndrangheta da 36 anni e attribuisco grande importanza alle interazioni col mondo dell’università e soprattutto della scuola. Sono figlio di un’insegnante elementare, ho sposato un’insegnante elementare, mia sorella è un’insegnante elementare, so bene cosa si vive e quanto sia sottovaluto e trascurato questo mondo. Anni fa mi sono occupato della strage dei campetti di Crotone, e del tragico omicidio del piccolo Domenico Gabriele, detto Dodò, di appena 11 anni. Ricordo che nel processo per quel fatto di cronaca la difesa citò una serie di amici degli imputati, erano tutti minorenni tra i 15 e i 17 anni. Lì toccai con mano quanto effettivamente sia concreto il problema culturale e quanto sia necessaria una rivoluzione in questo senso: questi ragazzi avevano difficoltà a leggere cinque righe del cosiddetto giuramento. E allora ti rendi conto del perché fenomeni sub-culturali, come il fenomeno mafioso, hanno larghi spazi e larga diffusione. Bisogna riscoprire valori come corresponsabilità o responsabilità, la condivisione, la solidarietà, tutto ciò consentirà ai calabresi di trasformare la denuncia dell’ingiustizia in un impegno per costruire giustizia. Ciò che deve preoccupare maggiormente – ha aggiunto Curcio – non è tanto la povertà materiale, ma la povertà delle menti. Il cambiamento che tutti auspichiamo per questa nostra terra, non può che tradursi in una rivolta delle coscienze e in un profondo rinnovamento sociale. Sono questi, più che gli arresti, più che i processi, a rappresentare gli antidoti necessari per una concreta prevenzione, per un’effettiva rinascita, perché tutti possiamo rifuggire dalla disperazione più grande che possa invadere la società».
Curcio ha ammesso che «il più grande regalo che abbiamo fatto alle organizzazioni mafiose è stato quello di non capire che il sistema di contrasto alle mafie e alla criminalità interessa tutti. In un momento storico in cui la povertà educativa segna l’emergenza reale delle nostre società, incontri di questo genere, iniziative formative come quella di oggi, hanno un’importanza enorme. Bisogna fare rete, essere impegnati in prima persona, serve sporcarsi le mani. Per parlare del fenomeno mafioso e contrastarlo, bisogna conoscerlo. La ‘ndrangheta oggi è un fenomeno diffuso in tutte e cinque i continenti. Per tanti anni – ha ricordato Curcio – mi sono occupato di narcotraffico internazionale e posso dire che ancora c’è un basso interesse mediatico e tanta ignoranza verso la reale portata del fenomeno. Un fenomeno sottovalutato. Oggi si bisbiglia, non si parla veramente di ‘ndrangheta. Tutti ciò ha portato dei vantaggi a queste organizzazioni. Ogni tanto poi ci svegliamo e facciamo delle scoperte sorprendenti che io definisco scandalose. È del 21 gennaio 2023 uno studio di Confartigianato che stima il fatturato annuo di tutte le organizzazioni di ‘ndrangheta, ma vi posso assicurare che queste stime sono sottovalutate, in 40 miliardi di euro, quindi oltre il 2 per cento del Pil nazionale, vicino ai patrimoni di Eni, Enel ecc. In pratica il Paese con queste stime ha scoperto che gli illeciti proventi delle organizzazioni mafiose che noi combattiamo, concorrono alla formazione del Pil. Sulla base a una normativa comunitaria vigente, viene consentito a tutti i Paesi membri dell’Ue di conteggiare nel Pil alcune attività illecite, nello specifico prostituzione, narcotraffico e contrabbando di tabacchi. Quindi, grazie a questa normativa, all’Italia è stato possibile incrementare il proprio Pil a 17,4 miliardi di euro. Mi domando da cittadino: è possibile con la mano destra contrastare i fenomeni mafiosi e con la mano sinistra questi fenomeni si ritengono portatori legittimi di benessere economico comune?».
Il procuratore di Lamezia ha spiegato quanto oggi i guadagni della ‘ndrangheta con la cocaina siano enormi. «Le indagini sono cambiate – ha detto – si sa bene che si devono superare i confini nazionali ed europei ed è diventato più complesso. La ‘ndrangheta continua a fare le estorsioni, i cui introiti, però, rispetto al traffico di droga, sono minuscoli. Il significato che la cosca attribuisce alle estorsioni da 1.000, 1500 euro, è legato esclusivamente al controllo del territorio. Ma la partita vera si gioca su altri tavoli, il narcotraffico, i sequestri e le confische patrimoniali». «La gente di Calabria – ha spiegato Curcio – è generosa, si sa, a volte troppo nei confronti delle organizzazioni mafiose. Noi come società calabrese abbiamo fatto dei regali alle organizzazioni di ‘ndrangheta, che sono stati alla base del suo proliferare. Oggi la comunità calabrese deve essere chiamata con forza a riappropriarsi dello status di cittadini, dismettendo i panni dei sudditi, rifuggendo da quell’atteggiamento ammorbante di incomprensibile terzietà nei confronti dello Stato, dimenticando che lo Stato siamo tutti noi. Non può esserci comunità senza il rispetto delle regole primarie di convivenza civile. C’è un processo di astrazione mentale, di rassegnata assuefazione ai fatti di ‘ndrangheta che conduce alla contro-cultura dell’”oramai, tanto non cambia niente”. L’alibi dei calabresi al nostro evidente disimpegno sociale. Qui si è sempre riusciti a metabolizzare tutto, lo Stato spesso viene visto come un corpo estraneo. Tutto viene demandato alla magistratura, alle istituzioni. Si tende a dire: “finché si ammazzano tra loro, a noi non interessa”. Ripeto – ha proseguito Curcio – questo è il più grande regalo che abbiamo fatto e facciamo alla ‘ndrangheta. La ‘ndrangheta si nutre dei nostri silenzi e della nostra indifferenza. Questa terra non ha bisogno di supereroi, ha bisogno di ordinarietà, deve recuperare il senso etico della vita. Non basta prendere le distanze o restare immobili, è tempo di prendere posizione, sostituire l’io con il noi. La Calabria ha bisogno di credibilità. Oggi si denuncia poco per paura, ma anche perché c’è poca credibilità da parte dell’interlocutore istituzionale. E questo è un problema che dobbiamo porci. Oggi – ha concluso Curcio – un ruolo fondamentale, prima ancora delle scuole, lo hanno le famiglie, i genitori, che per varie ragioni hanno delegato alla scuola, ai nonni, l’educazione dei propri figli». Curcio, premiato per il suo importante contributo nella lotta ai poteri criminali, nella sua visita odierna all’Unical ha incontrato anche il rettore Nicola Leone. (f.veltri@corrierecal.it)
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