LAMEZIA TERME Un terribile omicidio, la paura di eventuali ritorsioni, e la consapevolezza che niente sarà più come prima. Elementi che hanno avuto un peso enorme sulla scelta di collaborare con la giustizia di Andrea Beretta, l’ormai ex capo ultrà della Curva Nord dell’Inter, in carcere proprio per l’uccisione di Antonio Bellocco, rampollo dell’omonimo clan di ‘ndrangheta, tra i più potenti e influenti nello scenario della criminalità organizzata. La notizia è rimasta top secret per alcuni giorni, soprattutto per consentire di disporre tutte le misure di sicurezza necessarie per i familiari di Beretta. Una scelta sofferta ma, probabilmente, necessaria. L’omicidio di Totò Bellocco, infatti, già da subito aveva aperto una voragine sotto i piedi dello storico amico e fatale esecutore Beretta, lasciandolo di fatto senza altri assi da giocare. Quanto può pesare l’omicidio di un esponente della ‘ndrangheta è facilmente intuibile e il rischio di eventuali ritorsioni è stato paventato da subito.
Beretta – ne sono convinti i pm della Dda di Milano Paolo Storari e l’aggiunto Alessandra Dolci – potrà fornire ora elementi e spunti fondamentali per approfondire ulteriormente le indagini legate al mondo delle curve, già ampiamente sviscerate nell’inchiesta “Doppia Curva” che ha portato all’arresto di 19 persone, di cui 16 finiti in carcere e tre ai domiciliari. Oltre al business della Nord e della Sud gestito da gruppi sui quali pesa l’influenza della ‘ndrangheta calabrese e dei clan della Piana, c’è ancora da risolvere l’omicidio di Vittorio Boiocchi, ammazzato da due killer sotto casa nel quartiere Figino, periferia Ovest di Milano, ad ottobre di due anni fa. I racconti di Andrea Beretta agli inquirenti potrebbero, dunque, aprire scenari inediti o rafforzare eventuali tesi della pg.
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Quel che è certo è che con la collaborazione di Andrea Beretta, si chiude quasi un capitolo a suo modo “storico” per il calcio milanese, segnato da gravi fatti di cronaca, aggressioni e ritorsioni, una sorta di “banchetto” per i clan della ‘ndrangheta calabrese che, fiutando l’affare, da tanti anni hanno spostato i propri interessi sul calcio, lucrando su qualsiasi cosa fosse legato alle partite e allo stadio Meazza, attirando negli anni solo qualche sospetto e mai, finora, operazioni di polizia imponenti come quella di fine settembre.
L’interno di un furgone, quattro persone e una microscopia pronta a captare ogni parola pronunciata e ogni movimento. Tutti elementi che avrebbero permesso agli inquirenti della Distrettuale antimafia di Milano di riannodare i fili e poter addirittura stabilire una data: quella del primo vero incontro tra Andrea Beretta e Antonio Bellocco. È il pomeriggio del 16 novembre 2022 e il drammatico epilogo dello scorso 4 settembre, l’omicidio di Totò Bellocco proprio per mano di “Berro”, non era neanche lontanamente immaginabile. Durante quell’incontro, Bellocco e Beretta si pongono come la coppia che avrebbe dovuto governare la curva: «(…) con te al mio fianco… combiniamo un macello…» dirà proprio Bellocco a Beretta. Come ricostruito dagli inquirenti, al termine dell’incontro il gruppo si scambia il numero di cellulare, invitato proprio il calabrese a limitare quanto più possibile le comunicazioni. «A me sai che mi piace? Mi piace pure caricare…» «Picchio. Picchio e scasso! Hai capito come… io sono malato di queste cose mi piace spaccare la testa…».
«Un pomeriggio sono stato avvicinato da tre uomini, di cui uno mi è sembrato di riconoscerlo come un frequentatore della Curva Nord. Questo rivolgendosi a me, ha presentato i suoi due amici, millantando una loro appartenenza a una nota famiglia calabrese legata alla ’ndrangheta, sempre con fare minaccioso mi hanno accusato di non aver sostenuto economicamente tale “Mimmo Hammer” un frequentatore della Curva Nord che in quel momento detenuto». Questo, invece, il racconto di Beretta all’indomani della morte di Boiocchi, mentre parla con gli agenti della Questura di Milano. Parole che avevano acceso i primi riflettori su uno scenario inquietante. E ancora: «(…) mi hanno detto che loro volevano “parcheggiare a Vittorio” facendo intendere che era loro intenzione estrometterlo dalla gestione della Curva Nord», racconta ancora Beretta. «Io ho reagito dicendo che loro non avevano il diritto di intromettersi nei nostri affari, in quel momento i due “calabresi” si sono allontanati da me con la scusa di fumare una sigaretta lasciandomi solo con quello che me li ha presentati… ho avuto l’impressione che stessero mettendo alla prova la mia lealtà e volevano vedere le mie reazioni alla loro proposta di estromettere Vittorio dagli affari», confessa ancora “Berro” agli agenti della Questura milanese.
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Andrea Beretta, ed è questa una delle novità emerse poi nelle scorse settimane, aveva riferito di essere, già da alcuni giorni, sottoposto a minacce da parte di Bellocco, insieme a Ferdico ed almeno altri complici, prima dell’omicidio del 4 settembre. Nel mirino, infatti, ci sarebbe stato il merchandising della Curva Nord, fonte di reddito di Berro attraverso il negozio “We Are Milano”, e di volerne avviare uno ex novo nella città di Milano. Lo stesso ha dichiarato, inoltre, di essere scampato ad altri tentativi di omicidio.
Beretta, inoltre, aveva rivelato di «essere stato a conoscenza di un “piano omicidiario” nei suoi confronti» e che «sarebbe dovuto passare a vie di fatto dopo che lo stesso era stato convocato, tra giugno e luglio, a casa del defunto Bellocco dove, all’interno dei box sottostanti l’abitazione, aveva incontrato due emissari della sua famiglia, di cui uno presentato come un latitante, che gli avevano rivolto direttamente concrete intimidazioni», sempre correlabili alla gestione del merchandising. È per queste ragioni, dunque, che Beretta si era munito di una pistola che portava sempre con sé. (g.curcio@corrierecal.it)
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