REGGIO CALABRIA «Lui era capo di tutti, si metteva davanti a fila indiana e tutti andavano dietro come cagnolini». Venne così descritto dal collaboratore di giustizia Rocco Varacalli. Già nel 1965 veniva identificato come “mafioso” dal questore di Reggio Calabria, ma la lunga carriera criminale di Rosario Barbaro, detto “u Rosi” o “Rosi da Massara”, e capo bastone dell’omonima cosca di Platì, inizierà molto prima. E adesso l’impero dell’84enne, patriarca della famiglia detta “i nigri”, fatto di fabbricati, terreni e attività commerciali per 6 milioni di euro, frutto di reati e accumulati negli anni, è stato oggetto di un sequestro al termine delle indagini patrimoniali eseguite dalla Direzione investigativa antimafia. Nel provvedimento – che riguarda in particolare cinque società comprensive dell’intero patrimonio aziendale, di cui tre ditte individuali operanti nel settore agricolo, un circolo privato e un’attività di ristorazione – ed emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria su proposta del procuratore Giuseppe Lombardo e del direttore della Dia, viene ricostruita la lunga carriera criminale di Barbaro, che negli anni è stato destinatario di ben tre decreti impositivi della misura di prevenzione della sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno.
Una carriera criminale lunga oltre cinquant’anni. Neanche 20enne, nel 1960, Barbaro venne denunciato per sequestro di persona in concorso, minacce gravi, percosse aggravate e lesioni personali volontarie. Come emerge dagli atti della Stazione Carabinieri di Platì e riportato nel decreto di sequestro. Lesioni, violenza e minaccia a pubblico ufficiale, pascolo abusivo, danneggiamento e maltrattamento di animali. Negli anni Barbaro sarà destinatario di misure cautelari per diversi reati e trascorrerà periodi di latitanza. Ma le principali vicende penali che lo riguardano hanno origine nelle operazioni antimafia “Saggezza”, “Marine”, “Mandamento Jonico” e “Montagna Alati”. “Inchieste – si legge nel provvedimento – che hanno offerto importanti indizi di appartenenza del Barbaro alla cosca di Platì, con un ruolo verticistico”. Un lungo percorso criminale culminato nel procedimento “Saggezza”, nell’ambito del quale, Barbato è stato condannato alla pena di quindici anni di reclusione, per il reato di associazione mafiosa, con il ruolo di capo promotore. Gli inquirenti lo hanno indicato, inoltre, per avere dato l’assenso all’omicidio di Pasquale Marando, reato per il quale Barbaro nel 2018 è stato condannato a 30 anni di reclusione per essere stato ritenuto penalmente responsabile in qualità di mandante. “Il suo ruolo nella vicenda – si legge nel provvedimento – consiste nell’aver istigato i Trimboli ad uccidere Marando Pasquale”, “Data la posizione apicale all’interno del locale, la sua autorizzazione era comunque necessaria per l’esecutore materiale”.
Sono diversi i collaboratori di giustizia che hanno reso dichiarazioni circa il ruolo verticistico di Barbaro all’interno a Platì. Significative sono risultate le convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Rocco Varacalli e Rocco Marando. Entrambi i collaboratori di giustizia hanno collocato Barbaro al vertice dell’omonima cosca (Varacalli: «vedevo che quando uscivano lui era capotavola, fui era capo di tutti, si metteva davanti in fila indiana e tutti andavano dietro come cagnolini»).
Mentre Rocco Marando affermò che nel territorio di Platì erano operative tre ‘ndrine (i Castani, i Pillari e i Nigri), tutte facenti capo alla famiglia Barbaro della quale “Rosi da Massara” è elemento di vertice: «E’ il numero uno a Platì, comanda lui».
(m.r.)
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