COSENZA «Salvato’, ti aspettavo alle cinque! Mi ha chiamato quello che ha chiesto per domani se tutto a posto…hai sistemato…volevo sapere qualcosa! Salvatomi raccomando…lo sai no? Ce ne usciamo da questi “impicci”, gli chiudiamo tutto e basta!». A parlare al telefono, usando anche un tono infastidito con il suo interlocutore, è Cosimo Abbruzzese alias “Cocò o Micchi” (cl. ’96). È il 29 settembre del 2023 e – intercettato – l’esponente del “clan degli zingari” di Cassano allo Ionio discute con un “cliente” che, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, avrebbe acquistato della cocaina senza però ancora aver saldato il debito. Attraverso il trojan inserito nel telefono di Cosimo Abbruzzese, la pg ha ricostruito l’estorsione ai danni della vittima e le minacce anche contro i familiari – padre e genero – «finalizzate alla restituzione del denaro corrispondente a più partite di stupefacenti», annotano gli inquirenti.
L’episodio è stato ricostruito dagli inquirenti della Distrettuale antimafia di Catanzaro nel corso dell’inchiesta che avrebbe svelato la rete di supporto alla latitanza di Leonardo Abbruzzese, con l’arresto di 15 persone eseguito dai Carabinieri di Cosenza e Bari. Dalla prima telefonata passano circa 10 giorni e, attraverso WhatsApp, Cosimo Abbruzzese invita la vittima questa volta ad incontrarsi di persona. «(…) se dobbiamo scherzare dimmelo che così scherzo pure io… Salvato’ allora se non hai ancora risolto mettiti in macchina gentilmente e vieni qua…». La questione del “debito” di droga verrà affrontata poi il giorno seguente. La mattina del 10 ottobre, in particolare, gli inquirenti captano una serie di conversazioni dalle quali emerge la presenza di Cosimo e Francesco Abbruzzese insieme alla vittima, «con i quali discuteva del debito che aveva maturato e delle modalità di estinzione dello stesso» annotano gli inquirenti. Nel corso del viaggio in auto, Cosimo Abbruzzese riferisce «di aver provato a prender tempo con queste ignote persone che però evidentemente pretendevano la risoluzione immediata della vicenda».
La vittima avrebbe cercato di assumersi le proprie responsabilità, «mostrandosi realmente preoccupato» perché agli Abbruzzese avrebbe dovuto consegnare una somma di denaro che, nei fatti, non possedeva e doveva farsi prestare, dicendo «che non avrebbe potuto precludere alla figlia di frequentare l’università per un suo “vizio”» annotano ancora gli inquirenti. «(…) gli devo raccontare perché mi devono prestare questi soldi, hai capito? Non gli posso dire “oh, buongiorno mi servono cinquemila euro” (…) è tutta la settimana che sto pensando come cazzo…». La vittima, poi, elenca una serie di spese impreviste che, di fatto, non gli hanno consentito di saldare il debito. «(…) però ti sto dicendo da amico ti raccomando… è che mi sono serviti quei soldi! Due mensilità a Cosenza di anticipo, le iscrizioni all’università che non sono quattro soldi… a mia suocera nella cappella che abbiamo comprato…». E ancora: «(…) ora li devo usare per forza se no mia figlia all’università non ci può andare e perché io con i vizi che ho, per le stronzate mie…perché devo negare l’opportunità a mia figlia??».
Passa ancor qualche giorno, è il 29 ottobre 2023, prima che l’uomo consegni nelle mani degli Abbruzzese 5mila euro, una piccola tranche rispetto ad un debito di 19mila euro, corrispettivo di più partite di cocaine acquistate. Nel corso della mattinata, però, si susseguono in modo anche insistente i tentativi dei fratelli Abbruzzese di contattare la vittima: saranno 9 i tentativi di chiamata di Cosimo Abbruzzese nei confronti dell’uomo ma, tutte le volte, risponde la segreteria telefonica. Così, secondo l’accusa, affida il compito anche a Giuseppe Cofone (cl. ’97) – anche lui tra gli arrestati – che, a sua volta, contatta il genero della vittima. Più tardi Antonio Abbruzzese contatta il fratello Francesco, con quest’ultimo che spiega di aver contatto il genero «con il quale erano rimasti d’accordo che si sarebbero incontrati alle 9», annotano ancora gli inquirenti. Alle 15, intanto, Cofone raggiunge i fratelli Cosimo e Francesco Abbruzzese, alla presenza anche del padre dei due, Nicola, e di Gennaro Presta, «per riscuotere il credito spettante» annotano gli inquirenti. Come ricostruito dall’accusa, al telefono Francesco Abbruzzese con il genero della vittima, «continuava a minacciare il suo interlocutore», mettendolo di fatto con alle spalle al muro, altrimenti lo avrebbero ritenuto il diretto responsabile e, le ripercussioni, «sarebbero iniziate con il prelievo dell’autovettura del padre», riportano ancora gli inquirenti.
«Antone’, se lui non ti dà conferma che è tutto apposto, gioia mia mettiti nel treno, il primo che c’è, e scendi…». E ancora: «Forse quello che non ha capito sei tu, io ritengo responsabile a te e tu me li devi dare (…) se andiamo in fondo in fondo io a tuo suocero non Io dovevo nemmeno chiamare…». «(…) non hai i soldi? Cominciamo ad andare a prendere la macchina di tuo padre e vendiamo…». L’incontro effettivamente avverrà alle 22 di quella stessa sera ma, poco prima, gli inquirenti captano una serie di conversazioni dalle quali sarebbe emersa l’intenzione di intimorire la vittima «ed indurlo a saldare il debito», annotano gli inquirenti. «(…) tu incazzati proprio di brutto» suggerisce Cosimo Abbruzzese e Cofone. «(…) mi devo incazzare, lo devo picchiare…». L’effettiva consegna del cash avverrà attorno alle 23.26, a parziale estinzione di un debito pregresso. «Martedì pomeriggio se non risolvo il problema, mi ammazzate di palate e vi intesto la casa…», così la vittima diceva al gruppo al termine del conteggio delle banconote, cercando di guadagnare tempo e non avendo consegnato l’intera somma pretesa. «(…) sui figli… martedì se non vi risolvo il problema, che il problema è mio non il vostro… vi intesto la casa… ehh… mi ammazzate di palate davanti alla gente…». La vittima, davanti al gruppo che pretendeva l’estinzione del debito, chiedeva dunque altri due giorni di tempo, poi riferiva di chiesto aiuto anche alla madre: «(…) due santi giorni! Pure a mia madre ho raccontato il fatto che… mi sono mortificato con mia madre che non gli volevo dire niente…» «(…) al momento non possiamo fare niente” ha detto…». (g.curcio@corrierecal.it)
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