Nei vangeli si racconta di uno degli ultimi miracoli di Gesù quando a chiederglielo è un centurione romano, naturalmente pagano. E Gesù racconta a tutti che un pagano aveva più fede e senso etico di tanti credenti. Pino Iacino, che ci ha lasciato ieri, era un laico, socialista, genuino, soprattutto un uomo perbene. Fu il primo sindaco non democristiano del dopoguerra, a capo di una giunta di sinistra che Giacomo Mancini volle fortemente realizzare. Poi fu anche amministratore regionale. Era un uomo spiritoso, dedito all’ironia, ma sempre presente sul punto.
Non posso per ragioni anagrafiche testimoniare il suo successo di sindaco ma ciò che mi colpiva era la sua vocazione politica. Riformista, ovviamente, spigoloso e naturalmente tendente allo scontro con quell’area massimalista che dominava nei numeri la sinistra.
Ma il suo essere centurione era la simbiosi del pensiero socialista con quello cristiano.
Pino faceva politica per eliminare le disuguaglianze sociali. E in questo emanava quello spirito sacerdotale che era peraltro comune a tanti altri militanti politici di ogni schieramento. Nessun uomo politico di spessore può essere immune da limiti e difetti. E anche lui ne aveva. Ma ciò che risaltava era sempre la dedizione alla politica come responsabilità di massa. Scrivere un epitaffio è sempre una cosa triste. Ma Iacino rimane nel sigillo di una città che non può dimenticarlo. Con la fede di chi sa riconoscere in uomini come lui la bellezza della testimonianza.
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