COSENZA Il pm della procura di Cosenza, Giuseppe Visconti ha terminato – questa mattina in aula dinanzi al tribunale collegiale – la requisitoria del processo a carico dell’ex prefetta di Cosenza Paola Galeone (difesa dagli avvocati Mario Antinucci e Michele Laforgia): imputata per i reati di induzione indebita e rivelazione di segreto d’ufficio. Secondo la tesi accusatoria, l’ex prefetta avrebbe chiesto una sorta di “mazzetta” attraverso l’emissione di una fattura falsa da 1.200 euro per garantirsi una somma del fondo di rappresentanza della Prefettura alla imprenditrice Cinzia Falcone, presidente dell’associazione “Animed”. L’accusa ha chiesto per l’imputata una pena a 4 anni e due mesi. La pena originaria richiesta era di 6 anni, ma è stata diminuita per le riconosciute circostanze attenuanti generiche per l’incensuratezza e condotta processuale corretta.
Falcone sostiene di essere stata vittima di un tentativo di corruzione. D’accordo con le forze dell’ordine viene organizzato un incontro in un bar posto a pochi metri dalla prefettura, nel corso del quale la stessa Falcone avrebbe consegnato alla ex prefetta una «fetta di quella torta promessa»: 700 euro in una busta di colore rosa. La versione fornita da Galeone – nel processo – è agli antipodi rispetto a quella narrata dalla testimone chiave. «Il poliziotto che mi accompagnava è arrivato dinanzi al bar e si è allontanato, diceva che erano cose da donne e non voleva entrare. Nel bar mi trovo smarrita, pienissimo di gente il 28 dicembre. Quando ho visto la busta non ho capito nulla. Sono rimasta sorpresa quando ho visto che c’era del denaro». «I soldi sono stati trovati sparsi nella mia borsa – dice Galeone – sono uscita ero serenissima ma poi mi è caduta una tegola addosso». Ed ancora, «Falcone prese la busta e la infilò nella borsa».
Nel corso della lunga fase dibattimentale, i testimoni hanno ricostruito quanto accaduto all’interno del bar su Corso Mazzini a Cosenza con protagoniste Falcone e Galeone. All’incontro, Cinzia Falcone si presenta con addosso una cimice. Il microfono nascosto ha il compito di captare il contenuto del colloquio tra la querelante e la ex prefetta e la presunta cessione di contanti a favore di quest’ultima. L’incontro avviene intorno alle ore 15 del 28 dicembre 2019: le due donne vengono intercettate. All’interno del bar non erano presenti agenti di polizia, tutti gli uomini impegnati nell’operazione, erano posizionati all’esterno dell’esercizio commerciale. Le captazioni registrate all’interno dell’esercizio commerciale sono state oggetto di intervento attraverso l’utilizzo di un programma in grado di eliminare i rumori di fondo. Gli operanti di polizia hanno “pulito” la traccia audio, e dunque eliminato – attraverso un apposito programma – i rumori di fondo per rendere fluido il colloquio tra le donne. Le due versioni audio, quella “sporca” e quella filtrata ed oggetto di modifica sono state entrambe inviate alla procura di Cosenza.
Come accaduto recentemente in America per i due candidati presidenti, l’aula 9 del tribunale di Cosenza à lo scorso 30 gennaio 2024) si è trasformata in uno spazio dedicato al confronto tra la querelante e la querelata. Senza l’intervento degli avvocati e del pm. Le donne si confrontano sulle versioni dei fatti «evidentemente contrastanti», che hanno convinto il Collegio a suggerire un ulteriore raffronto.
Sull’incontro del 23 dicembre, Galeone ribadisce: «Ricorderà dottoressa Falcone ci siamo incontrate casualmente e le ho detto della benemerenza. È stato casuale. Siamo rimaste nella stanza pochi minuti e non abbiamo parlato di nulla. Perché lei avrebbe dovuto anticiparmi questi soldi?». Falcone risponde: «Confermo, un incontro assolutamente casuale e fugace. Ma la prefetta mi ha parlato del fondo di rappresentanza e della fattura. Ha socchiuso la porta principale e quando siamo andate via ha riaperto la porta e prima di congedarmi ha introdotto il tema della gara del Cas rendendomi edotti circa la presenza di alcuni problemi. Ha fatto segno con il dito indicando il piano di sopra, la ragioneria».
Sull’incontro del 28 dicembre, Galeone sostiene: «In quel bar stavamo parlando di Capodanno e non di fatture. Poi lei tira fuori la busta ed io dico no». La versione di Falcone resta la medesima. «L’ho chiamata dieci volte al telefono perché mi aveva dato appuntamento alle 12. È stata lei a scegliere dove andare. La fattura era il motivo dell’incontro. Dopo i convenevoli, le ho detto che ho fatto fattura e che avevo con me quello che dovevo darle. Lei prese la bustina e la infilò nella borsa».
Dopo la requisitoria del pm Visconti, il procedimento prosegue con le arringhe degli avvocati del Collegio difensivo. (f.benincasa@corrierecal.it)
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