ROMA Società “cantiere” e società “di comodo” a Roma e provincia, strumentali alla realizzazione di frodi e riconducibili alla cosca di ‘ndrangheta Mazzaferro, il clan di Marina di Gioiosa Ionica che dalla Locride è stato in grado di espandersi con ramificazioni nel nord Italia e all’estero. Come dimostrato dall’inchiesta della Dda di Roma, che questa mattina ha portato all’arresto di 25 persone, le operazioni di intestazione fittizia di quote societarie erano finalizzate alla creazione di strumenti per commettere i reati fiscali e occultarne i relativi profitti illeciti a vantaggio della cosca i cui elementi di contatto con gli imprenditori del luogo erano Nicolò Sfara (classe ’94), detto “Leone-Francesco-Silvio-Bruno”, legato da strettissimi legami di parentela con Vincenzo e Salvatore Mazzaferro (padre e figlio – rispettivamente classe ’71 e ’97). Un controllo nel settore della commercializzazione all’ingrosso di prodotti petroliferi che il clan era riuscito a conquistare attraverso un sistema ben collaudato e che i pm romani cristallizzano nell’inchiesta.
Le indagini hanno consentito di accertare l’esistenza di otto società, tra Roma, Anzio, Nettuno e Frascati, riconducibili a Sfara e sodali. Gli investigatori hanno individuato: le “società cartiere”, ovvero le società che emettono fatture per operazioni inesistenti, consentendo ad imprese produttive di utilizzarle a fini di evasione fiscale (attraverso l’indicazione in bilancio di costi inesistenti) o a fini di riciclaggio o per altri scopi illegali; sia le “società di comodo” o società “non operative”, ovvero le società che, a prescindere dell’oggetto sociale dichiarato, sono state sistematicamente utilizzate al fine esclusivo di realizzare una mera gestione del patrimonio dei soci, non esercitando, in realtà, alcuna effettiva attività imprenditoriale o commerciale. «Le società di comodo – come spiegato dal gip nell’ordinanza – risultano intestate a soggetti prestanome ma nella effettiva disponibilità del sodalizio criminale, appositamente acquisite e/o costituite pur senza che abbiano avuto una effettiva consistenza patrimoniale, poiché meri strumenti per la consumazione di illeciti penali e fiscali».
Le indagini hanno dimostrato inoltre che il gruppo criminale poteva contare su un’articolata struttura imprenditoriale: «I soggetti prestanome e fiancheggiatori nelle illecite attività sono stati reclutati tra compiacenti professionisti ed imprenditori con esperienze nei settori commerciali propedeutici alle operazioni di avviamento, gestione, direzione e controllo delle società da adoperare nella commercializzazione dei prodotti petroliferi, un settore imprenditoriale che – come evidenziato dal pm – richiede specifiche competenze contabili e commerciali in ragione della peculiarità del prodotto petrolifero, disciplinato nelle varie fasi delle attività da una normativa complessa e soggetta a continue modifiche ed aggiornamenti imposte dalla dinamicità del mercato economico».
E saranno proprio i rapporti – documentati attraverso intercettazioni – con un imprenditore romano, Alessandro Toppi, a svelare le fitte trame di relazioni nel comparto petrolifero con i Mazzaferro e Sfara e far scattare l’inchiesta.
Le attività venivano finanziate con risorse della cosca con la finalità di ripulire i soldi sporchi attraverso operazioni finanziarie, impiegando rapporti bancari, nazionali ed esteri, riconducibili a società compiacenti, con lo scopo di rafforzare economicamente la cosca Mazzaferro. «Le indagini – scrive il gip – hanno permesso di individuare tre diverse tipologie di condotte illecite poste in essere al fine di frodare il fisco attraverso il mancato versamento dell’Iva dovuta dalla cessione a terzi di prodotti petroliferi, avvalendosi di società utilizzate alla stregua di missing trader». Le società sono state infatti sistematicamente utilizzate per «acquistare prodotti petroliferi in esenzione d’imposta, ricorrendo a false dichiarazioni d’intento o false fideiussioni in cui si attestava, sulla base dei dati falsi comunicati nelle dichiarazioni dei redditi, lo status di “esportatori abituali” e, quindi, la possibilità di acquistare il carburante senza applicazione dell’Iva».
L’operazione illecita, che consentiva di acquistare il prodotto a prezzi fuori mercato grazie all’indebita esenzione Iva, «una volta effettuata la vendita sul territorio nazionale con l’applicazione dell’Iva, generava un notevole debito d’imposta in capo alle società cartiere, formalmente qualificate quali broker, che non è stato mai versato all’Erario, permettendo al sodalizio criminale di accumulare ingenti provviste finanziarie di provenienza illecita». (m.ripolo@corrierecal.it)
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