COSENZA Il tribunale di Cosenza, in composizione collegiale (presidente Urania Granata) ha emesso la sentenza nei confronti dell’ex prefetta di Cosenza Paola Galeone (difesa dagli avvocati Mario Antinucci e Michele Laforgia), imputata per i reati di induzione indebita e rivelazione di segreto d’ufficio. Il Tribunale ha condannato a 3 anni Paola Galeone riqualificando il reato di istigazione alla corruzione. Disposta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Assolta per il secondo reato originariamente contestato.
Secondo la tesi accusatoria, l’ex prefetta avrebbe chiesto una sorta di “mazzetta” attraverso l’emissione di una fattura falsa da 1.200 euro per garantirsi una somma del fondo di rappresentanza della Prefettura alla imprenditrice Cinzia Falcone, presidente dell’associazione “Animed”. Il pm Visconti – questa mattina – ha chiesto per l’imputata una pena a 4 anni e due mesi. La pena originaria richiesta era di 6 anni, ma è stata diminuita per le riconosciute circostanze attenuanti generiche per l’incensuratezza e condotta processuale corretta.
Il pm Visconti parte dalla deposizione rilasciata il 30 gennaio 2024 da Cinzia Falcone. La ricostruzione dell’accusa fa riferimento in primis all’incontro avvenuto in prefettura a Cosenza e sulla presunta richiesta avanzata dall’ex prefetta in merito alla possibilità di sfruttare i danari legati al fondo di rappresentanza «che altrimenti sarebbero tornati indietro, al ministero».
Si tratta di fondi che se non impegnati entro il 31 dicembre di ciascun anno vanno in “economia” e successivamente restituiti al Ministero dell’interno. Che eventualmente potrebbe disporne il riaccredito all’ente di provenienza. «Falcone – ricorda il pm – riceve negli uffici della prefettura la proposta di emettere una fattura da 1200 euro (in base ad una suddivisione decisa inizialmente, 700 euro sarebbero andati alla prefettura e 500 alla Animed) davanti alle bandiere italiane e dinanzi la foto del presidente Mattarella». Questo il pactum sceleris per l’accusa, che riporta le dichiarazioni che Galeone avrebbero fatto a Falcone. «La fattura falla da 1.220 euro così non sembra proprio l’importo del fondo di rappresentanza. Questi soldi mi spiace lasciarli…». La discussione del pm prosegue. «È possibile affermare che alla data del 23 dicembre 2019 l’Animed avesse effettuato prestazioni a favore della prefettura di Cosenza per quanto attiene l’accoglienza e il sostentamento vitto e alloggio dei migranti per cifre al di sopra di 100mila euro».
Si arriva all‘incontro al bar su Corso Mazzini, quello determinante per il pm a formare la prova del presunto patto corruttivo. Nello scambio di denaro, avvenuto per mezzo di una busta, Galeone avrebbe sottolineato la bontà dell’azione di Falcone e deciso di dividere a metà i soldi del fondo di rappresentanza: 600 euro a testa.
Ricordate le questioni legate al meccanismo di spesa dei fondi a disposizione del Prefetto, il pubblico ministero si sofferma sull’affidamento della gestione dei centri collettivi di accoglienza da 51 a 300 posti, datata 13 maggio 2019. Alla gara indetta dalla prefettura «partecipò Cinzia Falcone con Animed». Ma sull’associazione pendeva una richiesta di esclusione della commissione di gara per una discrasia legata alla regolarizzazione di un documento che recava un bollo con la data successiva alla scadenza dei termini. «La provincia di Cosenza nella gara fungeva da stazione unica appaltante, mentre la gara era indetta dalla prefettura di Cosenza. Il Rup, infatti, è il dottore Stefano Tenuta funzionario della stessa prefettura». Spetta proprio al Rup emanare il decreto di esclusione. L’imputata e la querelante parleranno della gara in un colloquio intercettato. Il 28 dicembre 2019 è «incontrovertibile» per il pm che «il prefetto Galeone abbia rivelato un segreto d’ufficio a Cinzia Falcone, la cui conoscenza era appannaggio della commissione e del Rup».
La chiosa del pm, che anticipa la richiesta pena. Per Visconti «la condotta di suggestione, persuasione e pressione morale da Galeone nei confronti di Falcone avrebbe condizionato la libertà di autodeterminazione del destinatario che giunge acconsente alla prestazione non dovuta perché motivata dalla prospettiva di conseguire un vantaggio. Un diniego avrebbe potuto avere un effetto negativo sulla gara e sui crediti vantati in prefettura per la gestione del Cas a Camigliatello silano». Cinzia Falcone è stata iscritta nel registro degli indagati, nel 2021 la sua posizione è stata archiviata.
La prima arringa spetta all’avvocato Michele Laforgia. Che subito tratteggia i contorni del processo. «È una requisitoria quella odierna del pm che al 99% avrebbe potuto fare nel corso del dibattimento. È un processo che ha visto cambiare molte volte il collegio giudicante ma anche quello difensivo. Una posizione di potere quella del Capo della polizia, con uno stipendio annuo superiore a 150mila euro». L’equazione è semplice: 700 o 600 euro non avrebbero cambiato nulla a chi guadagna un simile stipendio.
Il legale poi si sofferma sul presunto patto corruttivo. «L’incontro su Corso Mazzini del 23 dicembre tra Falcone e Galeone è casuale, sicuramente per l’imputata. Cinzia Falcone è persona ben introdotta nella prefettura di Cosenza, non per i rapporti con l’ex prefetta, ma per quelli intercorsi con alcuni funzionari. È di casa, partecipa attivamente in relazione alla liquidazione delle fatture che riguardano Animed. La stessa Falcone, ammetterà, che l’ex prefetta non ha voce in capitolo «sul pagamento delle stesse fatture».
L’avvocato non distoglie mai lo sguardo dalla presidente del collegio giudicante Urania Granata. «L’incontro nella stanza della prefettura dura tre minuti, secondo l’accusa in questo frangente si sarebbe consumato il patto corruttivo. Perché la perfetta avrebbe dovuto immaginare di poter convincere Cinzia Falcone, impegnata nella convegnistica dedicata all’antimafia e alla lotta contro la violenza sulle donne, ad emettere una fattura per spese di rappresentanza?», chiede e si chiede Laforgia. Quando Falcone lascia la prefettura di Cosenza, «fino alle 17.32, dopo la presunta proposta corruttiva, trascorrono due ore prima che la querelante si soffermi su quanto accaduto, come si evince dai tabulati. Nel mentre parla di cioccolatini, della fattura del gas e interloquisce con un’altra persona di un convegno da tenere a gennaio».
Secondo Laforgia, Falcone «dopo la denuncia diventa longa manus dell’autorità giudiziaria e poi agente provocatore». Nella chiosa i motivi per i quali chiede l’assoluzione della sua assistita. «Non c’è nessuna induzione indebita, come ammette anche Falcone. Non vi è nemmeno in relazione al presunto vantaggio illecito sulla sanatoria della irregolarità della gara. Non c’è violazione del segreto d’ufficio perché si parla di criticità della gara già note. Magari – chiosa l’avvocato Laforgia – si potrebbe configurare il reato di abuso d’ufficio…». Il legale ovviamente esclude qualsiasi commissione di reato dell’ex prefetta e chiede l’assoluzione perché il «fatto non sussiste».
Il processo – prima della lettura del dispositivo di sentenza – si conclude con l’ultima arringa, quella dell’avvocato Mario Antinucci: difensore sempre presente nel collegio che rappresenta l’imputata. «Quando ho sentito stamattina delle possibili ritorsioni del prefetto se non avesse accettato la presunta proposta corruttiva» – l’avvocato prende la calcolatrice – «ho fatto alcuni calcoli». «Il bando del Cas prevedeva un costo di 30 euro a migrante, se si moltiplica per 100 migranti fa 3000 euro al giorno, circa 130mila euro al mese, in un anno oltre 1 milione 600mila euro». «Non è solo una banale gara milionaria quella del Cas, parliamo di quasi 3,2 milioni di euro. Dobbiamo avere presente la regola dell’equilibrio» e suggerisce «la sproporzione dell’interesse della Falcone nei confronti di una gara milionaria rispetto all’interesse del prefetto che pesa 700 euro».
Due aspetti di opacità, sarebbero emersi per l’avvocato Antinucci. Il tema del dubbio sulla «genuinità dei flussi intercettivi (rimasti sub judice)» e quello della «patologica inutilizzabilità degli atti della polizia giudiziaria». Questi ultimi, per il legale, «tutti ideati, programmati e registrati dalla pg». Un passo importante nell’arringa è dedicato alle intercettazioni. Antinucci riavvolge il nastro dei ricordi e torna ad una udienza del dibattimento dedicata all’analisi del materiale intercettivo raccolto e dalla quale emerse il «filtraggio» delle fonti intercettive. Una prova «inquinata», tuona il legale. E poi i tempi. «Il 24 dicembre, giorno della denuncia presentata da Falcone, non si era configurato nessun reato». Dopo quasi 7 ore di udienza, interrotta da due brevissime pause, l’aringa difensiva si avvia a conclusione. «A che titolo viene data una patente di attendibilità a Cinzia Falcone? È una testimone non una persona offesa», sostiene Antinucci. Che poi chiede l’assoluzione della sua assistita «perché i fatti non sussistono». (f.benincasa@corrierecal.it)
Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato
x
x