ROMA Da Rio de Janeiro, la premier Giorgia Meloni non si sottrae all’analisi del voto. Poche parole, ma nette. Nonostante si dica “ottimista sul consenso dei cittadini”, non rinuncia a definirsi “dispiaciuta del risultato e della non conferma del governo in Umbria”. E manda un doppio messaggio, sia al suo partito che agli alleati di centrodestra. “I cittadini – spiega – hanno scelto un’altra parte. Ne prendiamo atto e faremo le nostre valutazioni. Bisogna interrogarsi su quanto non ha funzionato”. Insomma, è necessario aprire una riflessione anche dentro la coalizione di governo, per evitare di perdere terreno sui territori. “Non vincere sempre aiuta a mantenere i piedi per terra”, prova a sdrammatizzare la presidente del Consiglio. Ma le schermaglie tra i partiti, all’indomani del voto, testimoniano un clima teso. Da una parte, c’è una Lega indebolita, che vede il leader Matteo Salvini pronto a serrare i ranghi in un Consiglio federale. Dall’altra, una Forza Italia rinvigorita, che si prepara a rilanciare sulla cittadinanza e a frenare sull’Autonomia. Con la ridefinizione dei pesi specifici dei singoli partiti, non sono esclusi scossoni. Ma sono ancora le sfide territoriali a tenere banco nel day after. Dopo le stoccate arrivate da più parti sulla scelta di Donatella Tesei, la premier ribadisce: “rivendico la sua candidatura, ha lavorato bene”. Anche se alcuni deputati di FdI ed FI non fanno a meno di sottolineare la convinzione sulla “debolezza” della candidata, maturata ben prima delle urne. Tuttavia, l’intenzione resta quella di lasciarsi il passato alle spalle e guardare alle prossime Regionali. “La riflessione è sulla scelta dei candidati migliori, è una questione di metodo”, è il ragionamento che rimbalza in Transatlantico tra i parlamentari di FdI. Dove il cambio di metodo si può interpretare in due modi convergenti: nessun automatismo sulla riconferma del presidente uscente, da una parte, e valorizzazione del peso dei partiti nella scelta dei candidati, dall’altra. l centrosinistra, schierato in formato ‘extra-large’ comincia a preoccupare. Da qui la necessità di individuare “candidati forti”. Così, FdI si prepara a far valere il proprio peso, con il rischio di un braccio di ferro a oltranza con la Lega. Che in Veneto, ad esempio, non sembra disposta a cedere di un millimetro. “Il percorso per un candidato presidente della Lega è già iniziato”, riflette un deputato leghista guardando al Nord-Est. Anche l’ipotesi della candidatura di Luca Zaia a sindaco di Venezia non scalfirebbe le barricate di via Bellerio. E addirittura c’è chi, tra le fila di FI, ipotizza: “non è escluso che la Lega possa correre anche da sola”. In FdI, invece, un nome ci sarebbe già, ed è quello di Luca de Carlo. “La battaglia ci sarà”, è la previsione più diffusa nel partito della premier. Che non accetta di avere soltanto tre governatori di bandiera e spera di aumentarli nel 2025. E lo sguardo, dal Veneto, si poggia anche su Campania e Puglia. Intanto, dopo le parole di Meloni, la sensazione in FdI è che una riflessione interna si aprirà. Al ritorno della premier dal Sud America, potrebbe prendere il via una serie di confronti, a cominciare da quello con il responsabile organizzazione di Fdi, Giovanni Donzelli. Riflessioni interne anche alla Lega, dove si lavora alla preparazione di un Consiglio federale. Difficile che l’analisi della batosta elettorale possa rimanere fuori dai ragionamenti. Mentre resta l’attesa per il congresso regionale della Lombardia, preludio per quello nazionale. “C’è da scegliere una linea”, commenta qualche deputato. Chi invece sembra avere le idee chiare è Forza Italia, che gioisce per la costante crescita dei consensi. “Faremo valere il nostro status di secondo partito della coalizione, prendano sul serio le nostre istanze”, pungono vari parlamentari azzurri. C’è la sfida sulla cittadinanza, pronta a riprendere vigore dopo la manovra. E poi la battaglia di retroguardia sull’Autonomia. “Questione scivolosa con questi nuovi pesi, è complicato che si possa procedere a ritmo di corsa”, è l’alert. Che però si tradurrà difficilmente in uno scontro aperto.
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