LAMEZIA TERME Una “rivoluzione” nel mondo del lavoro. Tra rischi e opportunità, l’avvocato giuslavorista Giulia Bifano affronta il tema dell’intelligenza artificiale, sempre più presente nella gestione delle aziende e dei lavoratori. Ospite di “In Primo Piano”, il format in onda su L’altro Corriere Tv (canale 75), racconta le sfide del diritto del lavoro di fronte ad un ruolo sempre più primario dell’intelligenza artificiale, soprattutto in settori delicati come quello lavorativo. Calabrese di nascita, la sua è anche una tipica storia di emigrazione calabrese: andata via da giovane con la “nostalgia” di chi lascia la propria terra, è tornata dopo un percorso di formazione e una carriera che l’ha portata a ricoprire il ruolo di avvocato senior associate allo studio Baker & Mckenzie. Con il centro di ricerca Digital Lab Law sta promuovendo due giorni di seminari all’Università della Magna Graecia di Catanzaro: al centro il binomio tra lavoro e intelligenza artificiale.
Bifano racconta il rapporto tra norme e lavoro, complesso ma «anche affascinante», per il suo ruolo fondamentale nel garantire i diritti dei lavoratori e nell’anticipare e regolamentare le sfide del futuro. Partendo da un assunto di base: «Quando si valutano i dati, come occupazione o disoccupazione, dobbiamo distinguere tra quantità e qualità del lavoro. Non conta solo quante persone sono occupate, ma quante lo sono a tempo indeterminato, quante con retribuzione e tutele adeguate». Sul tema di diritti e tutele, la sfida recente è quella della “rivoluzione” portata dall’intelligenza artificiale. «È già applicata da molte aziende» spiega Bifano. «Ad esempio, per lo screening dei curricula, per la gestione del rapporto, per la valutazione delle performance e dei percorsi di carriera».
Un caso recente è quello dei riders, con il discusso uso dell’algoritmo che «li valutava negativamente anche per le assenze, a prescindere dalla ragione o se stavano a casa in malattia. Questo è il fulcro del discorso, l’intelligenza artificiale è uno strumento potente e lo sarà sempre di più. Ma l’essere umano deve gestirlo e controllarlo». Per difendersi dai rischi che l’intelligenza artificiale porta con sé, spiega l’avvocato, deve essere l’uomo a «educare» la macchina. «Forse il nome non è adatto, perché quasi la fa sembrare un ente terzo e autonomo. Ma l’intelligenza artificiale è un artificio umano, siamo noi a educarla e indirizzarla».
A fare da “garanti” sono le norme, ma «la tecnologia corre a velocità tali che è difficile inseguirla nella regolamentazione». In Italia qualche passo avanti è stato fatto con l’ultimo decreto trasparenza che «ci ha imposto di dare più informazioni ai lavoratori su eventuali sistemi automatizzati. Esiste un obbligo di informativa ed esistono anche dei confini a prescindere dall’intelligenza artificiale, perché sulla vigilanza dei lavoratori abbiamo un apparato normativo molto sofisticato». Anche l’Unione Europea, riconoscendo i rischi, è intervenuta per richiedere più attenzioni per tutelare il mondo del lavoro. «L’intelligenza artificiale non è perfetta come si può pensare, ma c’è pur sempre un essere umano dietro che porta con sé, magari, anche pregiudizi e modelli culturali». Un caso emblematico è quello di «un’azienda il cui algoritmo è stato giudicato discriminatorio perché escludeva tendenzialmente le donne da alcuni ruoli tecnici. In questi casi occorrono dei correttivi per cui l’intervento umano è indispensabile».
Non solo algoritmi discriminatori, un altro rischio è la “profilazione” del lavoratore e la perdita dei posti di lavoro. «Noi seminiamo in giro una quantità incredibile di dati e informazioni su di noi. Idealmente questo consente di costruire un nostro profilo». Il rischio è che si ecceda nel cosiddetto ranking reputazionale, ovvero «ammettere una persona a condizione del suo punteggio sociale, in base a come si comporta nella società». Ma la preoccupazione più diffusa è che l’intelligenza artificiale possa in futuro sostituire i lavoratori. «Il lavoro – rassicura Giulia Bifano – non sparirà, si convertirà. Ci sarà bisogno di nuove competenze. Un po’ come la carrozza: non è finito il lavoro, ora ci sono i tassisti, domani chissà».
Quella di Giulia Bifano è anche una storia di emigrazione tipica della Calabria. «Quando sono andata via ero arrabbiata, mi sentivo espropriata del diritto di essere ambiziosa a casa mia. Negli anni ho capito una cosa: noi nasciamo con una sorta di vaccino del senso di inferiorità. Ci sentiamo inferiori, nascondiamo il nostro accento e questa è una sciocchezza. Lo facevo anche io, adesso amo portare addosso il marchio della mia regione». Sono stati proprio gli anni lontani dalla Calabria a farle «scoprire un amore e un senso di appartenenza. Come tanti calabresi, sento il dovere che ogni figlio ha verso la propria madre. Da ragazzino scappi, da adulto vuoi collaborare, vuoi renderla una regione più prosperosa». Per farlo, però, servono anche i presupposti. «Ma è una terra piena di eccellenze, piena di valore. L’istruzione qui è molto valida, dobbiamo creare le opportunità per trattenere qui i talenti». (redazione@corrierecal.it)
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