MILANO Grossi quantitativi di cocaina venduti, uguale ad ingenti somme di denaro che, necessariamente, dovevano essere riciclate in qualche modo. Come ricostruito dalla Dda di Milano e riportato nell’ordinanza firmata dal gip, ognuna delle ‘‘cellule” di volta in volta destinatarie dello stupefacente, «si facevano carico immediatamente, di convogliare i saldi delle forniture presso collettori individuati e scelti dai fornitori all’estero». Un modo, insomma, per evitare di accumulare grosse cifre di denaro contante e, soprattutto, sequestri. Questo è uno degli aspetti ricostruiti nell’inchiesta che avrebbe fatto luce sull’ingente traffico di cocaina che, dalla Calabria, avrebbe raggiunto la Lombardia e soprattutto l’hinterland di Milano, culminata con l’arresto di 20 persone, compresi alcuni soggetti calabresi come Antonio Rosario Trimboli (cl. ’82) di Locri e Antonio Gullì (cl. ’85) di Reggio Calabria, «elementi di vertice nel gruppo» che, secondo gli inquirenti, «si occupavano del traffico di droga tra Calabria e Lombardia».
Le attività della pg avrebbero, quindi, avrebbero messo in evidenza il sistematico ricorso ad alcune organizzazioni attive in Italia ma per lo più gestite da soggetti di nazionalità cinese, «detentori, ormai in via esclusiva, di canali bancari sommersi», annota il gip. E il riferimento è al cosiddetto “underground banking” fondato sui “fei ch’ien” che, in molti Paesi, vengono anche definiti “hawala”, come per esempio nel traffico di migranti. Molteplici le location scelte: un bar milanese, un appartamento nel cuore della “Chinatown” di Milano ma anche un appartamento a Roma. Come ricostruito in fase investigativa, il cash veniva depositato dai committenti italiani attraverso i propri corrieri, muniti di vetture dotate di doppiofondo, e confezionato, normalmente, in pacchi da 10.000 euro avvolti nel cellophane trasparente. La decriptazione delle chat SkyEcc aveva svelato – riporta il gip nell’ordinanza – il particolare modus operandi con cui era stato di volta in volta recapitato il denaro nelle mani dei cinesi: lo scambio di parole di riconoscimento comunicate in chat o, quasi sempre, «attraverso l’esibizione del seriale di banconote da 5 euro che, in molti casi, a titolo di ricevuta, venivano contrassegnate con le cifre del denaro oggetto della consegna», annota ancora il gip.
Canali cinesi, dunque, ma anche quelli albanesi. In tanti altri casi, infatti, «il denaro raccolto era stato trasportato fisicamente dall’Italia verso l’Albania» e nelle mani di due soggetti albanesi gestori di un’agenzia e con cadenza bisettimanale. Nelle chat, infatti, gli indagati erano soliti indicare questo metodo di trasferimento del denaro con la parola “pullman”, annota ancora il gip. Il tutto sarebbe stato meticolosamente riportato in quaderni ed appunti, distinti per tipo di stupefacente trattato e con le puntuali annotazioni (col segno meno) relative ad ogni spesa sostenuta ed alle somme trasferite.
Le somme di denaro «confezionate in blocchi da 10mila euro», sono state puntualmente fotografate prima di ogni trasferimento, permettendo agli inquirenti di definire una ricostruzione precisa, in termini economici, del risultato della vendita dello stupefacente trattato dalle organizzazioni, quantificato in oltre 12milioni di euro, ma anche la suddivisione: 5.000.000 di euro ascrivibili al “gruppo calabrese” composto da Trimboli-Gullì; 3.719.000 di euro per il gruppo “Rozzo” e, infine, 3,6 milioni di euro per il gruppo “Grifa”. (g.curcio@corrierecal.it)
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