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“Le vite spezzate dal non amore”

Femminicidi, al Senato il ricordo di Maria Rosaria Sessa. Roccella: «La violenza va riconosciuta e condannata»

A Roma l’evento dedicato alla giornalista cosentina uccisa nel 2002. Presentati due studi: «La violenza incisa nel Dna delle vittime»

Pubblicato il: 23/11/2024 – 7:59
di Mariateresa Ripolo
Femminicidi, al Senato il ricordo di Maria Rosaria Sessa. Roccella: «La violenza va riconosciuta e condannata»

ROMA Perse la vita a soli 27 anni per mano dell’uomo che diceva di amarla e che non accettava la fine di una relazione che era diventata col tempo sempre più opprimente. Una storia sentita troppe volte, una trama che accomuna troppe donne. Questa è quella di Maria Rosaria Sessa, la giornalista di Rossano Calabro, nel Cosentino, uccisa 22 anni fa dal suo ex compagno, che la colpì in auto con una serie di coltellate non lasciandole scampo. Una storia simbolo – in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne che ricorre il 25 novembre – al centro di un evento organizzato dall’associazione “Giornaliste Italiane” nella sala “Caduti di Nassirya” presso il Senato della Repubblica a Roma. “Maria Rosaria e le altre. Le vite spezzate dal non amore” il titolo dell’incontro che ha visto anche la testimonianza di Linda Moberg, che stava per avere lo stesso tragico destino di Maria Rosaria, ma che è riuscita a sopravvivere al brutale pestaggio di suo marito.
All’incontro, che ha visto la partecipazione associazioni, giornalisti, scrittori, hanno preso parte anche la ministra per la famiglia e le pari opportunità, Eugenia Roccella e la sottosegretaria di Stato al Ministero dell’Interno, Wanda Ferro.

Il ricordo di Maria Rosaria Sessa

“Ogni volta che si verifica un nuovo caso di femminicidio, per noi si aprono quelle ferite che cercano con fatica di rimarginarsi”. Sono le parole del fratello di Maria Rosaria, Nazareno Sessa. Commosso anche il ricordo di Francesco Mannarino, presidente del Circolo della stampa “Sessa”. “Era una donna bellissima, dentro e fuori”, è il ricordo di Arcangelo Badolati, giornalista e scrittore che ha conosciuto e lavorato con la giovane uccisa la notte del 9 dicembre 2002 da Corrado Bafaro. “Fu uccisa con un inganno dal suo ex compagnò, invitandola a un ultimo appuntamento, presentandosi con un mazzo di fiori, un anello e un coltello in tasca”. Ai nostri microfoni Badolati ha ribadito l’importanza di veicolare un messaggio fondamentale: “Grazie ai miglioramenti con innovazioni normative è possibile fermare questa gente prima. Le donne devono trovare il coraggio di denunciare, per questo ci deve essere un impegno collettivo, l’impegno di tutti, della stampa e dell’opinione pubblica”. Stesso messaggio lanciato da Linda Moberg, che ha raccontato la sua tragica storia che con coraggio continua a ribadire l’importanza di denunciare: “Ero convinta che sarei morta”, ha dichiarato Linda nel corso della sua toccante testimonianza.

«La violenza incisa nel Dna delle vittime»

Per l’occasione sono stati illustrati i risultati di due studi: un sondaggio dal titolo “La percezione della violenza di genere in Italia” di Swg per Giornaliste Italiane, e la ricerca “Epi-we” ((Epigenetics for Women) condotta da Simona Gaudi, del dipartimento Ambiente e Salute dell’Istituto Superiore di Sanità. Quest’ultimo, illustrato ai nostri microfoni dalla giornalista Mariavittoria Savini dimostra che “la violenza provoca cicatrici biologiche, è incisa nel Dna delle vittime. Capire in che modo queste modificazioni si possono estendere e come questi effetti possono essere visibili a distanza di anni, significa aprire la strada a una medicina di prevenzione e di precisione”.
I dati dello studio realizzato, invece, da Swg “mostrano uno spaccato molto differente tra quella che è l’immagine dei giovani maschi e delle giovani donne. Le giovani donne hanno molto più coscienza di quello che sta succedendo, molto più coscienza anche del pericolo quotidiano che possono correre, i giovani maschi invece tendono a minimizzare”, ha spiegato ai nostri microfoni Riccardo Grassi. Dati non confortanti. Gli stereotipi di genere – secondo lo studio – rimangono radicati nelle nuove generazioni e, anzi, si rafforzano: “E’ come se una serie di ragazzi si sentissero messi in discussione nel loro ruolo e cercassero di riaffermarlo anche con le violenze”.

Roccella: «La violenza riconosciuta e condannata»

“E’ importante che sia un evento di sensibilizzazione organizzato dalle giornaliste perché il ruolo della stampa è fondamentale”, ha detto la ministra Roccella a margine dell’incontro parlando con i giornalisti: “Il racconto delle diverse situazioni, delle vicende è quello che serve perché ognuno di noi si ricordi quanto conta la libertà femminile e la cultura del rispetto”. Sui dati raccolti che dimostrano come gli stereotipi sul genere siano radicati anche nelle giovani generazioni, Roccella ha detto: “Proprio oggi abbiamo presentato il Libro Bianco per la formazione, che sarà la base per delle linee guida per la formazione di tutti gli operatori che hanno a che fare con la violenza contro le donne. Uno strumento per costruire una educazione alla cultura del rispetto anche da parte delle agenzie educative, quindi anche per la famiglia e la scuola. La cosa fondamentale è prima di tutto riconoscere la violenza, conoscere il fenomeno e saperlo riconoscere dai primi segnali, e non giudicarlo secondo criteri inadatti, come il conflitto familiare, questioni di gelosia o troppo amore. La violenza va condannata e immediatamente riconosciuta come tale se vogliamo contribuire a salvare le vite”.

Ferro: «Tanti strumenti messi in campo, serve una rivoluzione culturale»

“E’ una giornata importante organizzata dall’associazione nazionale Giornaliste Italiane, importante per me perché è anche un fatto legato alla mia terra (la Calabria ndr), ma anche per ricordare tutte le donne che come Maria Rosaria Sessa sono vittime femminicidio”, ha spiegato la sottosegretaria di Stato al Ministero dell’Interno, Wanda Ferro, che ha aggiunto: “Oggi l’Italia può vantare la migliore legislazione a livello europeo rispetto al codice rosso, rispetto al Ddl femminicidio, che è stato voluto dal governo Meloni, e ovviamente con tutte le azioni che significa prevenzione, repressione, e nello stesso tempo formazione. A questo si aggiungono tanti strumenti a disposizione delle donne, per avere meno paura, per poter denunciare e avere l’accesso più facile a determinate possibilità che le rendano libere, attraverso importanti misure economiche. Guardiamo anche e soprattutto a non lasciare sole le donne e i loro bambini”. “Abbiamo dotato di maggiori strumenti la magistratura e le forze dell’ordine. Abbiamo una diminuzione dei casi che non ci rende felici perché comunque si registra una strage dal 1996”. La sottosegretaria Ferro ha parlato poi dell’importanza di fare rete e mettere insieme gli strumenti necessari per contrastare il fenomeno: “E’ fondamentale una rivoluzione culturale attraverso la scuola, la famiglia e i cittadini”. (m.ripolo@corrierecal.it)

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