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LA TESTIMONIANZA

Giornalisti calabresi spiati «sotto ricatto per tenere il posto di lavoro»

Al Corriere.it il racconto di due ex cronisti della testata vibonese

Pubblicato il: 23/11/2024 – 12:06
Giornalisti calabresi spiati «sotto ricatto per tenere il posto di lavoro»

«Eravamo tutti vittime tra i più conosciuti cronisti calabresi. Per anni non ci siamo ribellati per salvaguardare il nostro posto di lavoro ma, è stata una sopportazione, che mi ha lasciato il segno. È stata una fatica enorme resistere ma, alla fine, non ne potevo più di essere costantemente spiato». È la testimonianza riportata dal Corriere della Sera, di Pietro Comito, il giornalista che insieme al collega Agostino Pantano, ha denunciato le condizioni di lavoro a cui erano sottoposti i dipendenti del network calabrese gestito dalla società Diemmecom, con sede a Vibo Valentia.
L’intervista richiama l’indagine della Procura della Repubblica di Vibo Valentia e condotta dalla Polizia di Vibo che riguarda l’amministratore unico Domenico Maduli e il direttore generale della società editoriale Maria Grazia Falduto, sulla presenza, in prossimità delle postazioni di lavoro, di telecamere munite di microfono per «captare le comunicazioni che avvenivano in prossimità delle postazioni di lavoro». I giornalisti, inoltre, avevano spiegato agli inquirenti come l’editore avesse «fittiziamente ridotto l’orario di lavoro dei dipendenti del 30%» ricorrendo alla cassa integrazione guadagni, per scaricare parte dei costi del lavoro sul suddetto istituto, nonostante – di fatto – fosse stato mantenuto dai lavoratori interessati il consueto orario di lavoro. Come riporta ancora il Corriere della Sera, l’inchiesta della procura vibonese ha avuto inizio dopo le denunce di due giornalisti Pietro Comito e Agostino Pantano, più altri due colleghi che hanno rassegnato le dimissioni perché «non sopportavano più di lavorare in un ambiente che si era fatto pesante e tossico». In particolare Pantano – riporta ancora il Corriere.it – ha anche denunciato la circostanza secondo la quale è stato costretto a lavorare «full time» nonostante il suo contratto di lavoro risultasse essere part-time a 28 ore totali. «Ho lavorato nel periodo del Covid e per tutti i mesi della pandemia – spiega l’ex cronista di Lac al CorSera – anche quando risultavo in cassa integrazione, senza riduzione di orario». Ancora da chiarire al meglio, da parte degli inquirenti, il contesto in cui sarebbe avvenuto lo «spionaggio» ai danni della redazione. La sede della televisione e della società sono state perquisite e sono stati sequestrate tutte le apparecchiature di videosorveglianza e archiviazione dati.

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