LAMEZIA TERME Per la Distrettuale antimafia di Milano era un mero prestanome. A lui, ad esempio, Totò Bellocco e Andrea Beretta, avrebbero fatto “bonificare” 40mila euro con una causale fittizia: “restituzione per cucina”. Per gli inquirenti, però, era un’attribuzione fittizia perché i soldi, in realtà, erano di Bellocco e Beretta per «eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale». Per Cristian Ferrario, però, i guai non finiscono qui. L’uomo, classe ’74, è stato arrestato dagli agenti della Squadra mobile di Milano, guidati Alfonso Iadevaia, in flagranza di reato per detenzione di armi da guerra e portato a San Vittore. Ferrario, appartenente alla Curva Nord, era dipendente del negozio della curva interista gestito a Pioltello da Andrea Beretta “We are Milano”, come è riportato agli atti della Dda.
Nel corso di un blitz, infatti, gli agenti hanno trovato in un magazzino nelle sua disponibilità un vero e proprio arsenale composto da pistole, kalashnikov, bombe a mano, granate, mitragliette, giubbotti antiproiettile e centinaia di proiettili. Un’operazione significativa non solo per i risultati, ma anche perché lascia intendere che il lavoro iniziato qualche settimana fa dagli inquirenti milanesi non accenna affatto ad arrestarsi, tutt’altro. Il magazzino, infatti, si troverebbe non troppo lontano da un’abitazione di Andrea Beretta, l’ormai ex capo ultrà dell’Inter, in carcere per l’omicidio del rampollo di ‘ndrangheta Totò Bellocco, avvenuto lo scorso 4 settembre, e da poco collaboratore di giustizia.
Il nome di Ferrario non è nuovo agli inquirenti. L’uomo è già tra i protagonisti dell’inchiesta “Doppia Curva” dello scorso settembre che ha inflitto un duro colpo all’organizzazione criminale composta da ultrà dell’Inter e del Milan, agendo anche per conto della ‘ndrangheta calabrese che, dalle parti di San Siro, avrebbe messo radici profonde da alcuni anni. Già perché quei 40mila euro di cui parlano gli inquirenti, sarebbero soldi «corrisposti a Bellocco e Beretta quale corrispettivo della protezione mafiosa da loro fornita ad un imprenditore che aveva effettuato investimenti in Sardegna, osteggiati attraverso atti vandalici», sostiene proprio la Dda di Milano. Emblematiche in questo senso le intercettazioni finite agli atti. «…tu ti ricordi che non si fa niente per niente? Non vi rimangiate le parole perché cavalli di ritorno non ne voglio…». Così Ferrario si esprimeva nei confronti di Totò Bellocco, con il primo che di fatto avrebbe messo a disposizione «il proprio conto corrente per far confluire l’ingente somma di denaro destinata agli indagati», sostiene l’accusa milanese. «(…) ah tu una cosa che tu devi fare invece» si raccomandava il rampollo dei Bellocco, «devi fare le foto della sua cucina della Sardegna, perché io gliel’ho fatto mettere questo… tu gli hai venduto una cucina hai capito?», suscitando un dubbio in Ferrario: «Sì ma non è che mi fate tornare a Bollate?», riferendosi ad una probabile carcerazione.
Per il gip di Milano, Ferrario avrebbe palesato «perfetta consapevolezza del ruolo non solo di Beretta ma anche di Bellocco, rispetto ai quali si pone come strumento essenziale», ed è per questo che ne aveva disposto gli arresti domiciliari, misura recentemente convertita con un provvedimento di obbligo di dimora. (g.curcio@corrierecal.it)
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