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Cosenza, omicidio Gioffrè: le due tracce di sangue in bagno e gli appartamenti «comunicanti»

La testimonianza della figlia della vittima, Giovanna Gioffrè. «Nella cassaforte c’erano anche i miei soldi in una scatola rosa»

Pubblicato il: 25/11/2024 – 19:05
di Fabio Benincasa
Cosenza, omicidio Gioffrè: le due tracce di sangue in bagno e gli appartamenti «comunicanti»

COSENZA Non è stata una udienza semplice da affrontare per Giovanna Gioffrè, figlia di Rocco Gioffrè ucciso a Cosenza, nella sua abitazione in via Montegrappa 7, il 14 febbraio del 2023 da Tiziana Mirabelli: reo confessa del delitto. In Corte d’Assise a Cosenza (presidente Lucente), la testimone ha riportato indietro la memoria alle ultime ore precedenti la scomparsa del padre ed ai difficili e tormentati giorni successivi al delitto. «Lunedì 13 febbraio 2023 dovevo andare alla Terra di Piero, non sono stata bene. Ero a casa di mio padre. È stata l’ultima volta che l’ho visto». Come accaduto per la sorella Francesca, protagonista nella medesima udienza (qui il suo racconto) anche la seconda figlia della vittima riempie il suo racconto di alcuni “non ricordo”, ribadendo il proprio impegno nel raccontare la verità dinanzi al tribunale. Alcuni dettagli riferiti a specifici episodi tuttavia presenteranno delle incongruenze rispetto a quanto dichiarato, dalla stessa testimone, nell’interrogatorio reso dopo l’omicidio. Circostanze sollevate e contestate dall’avvocato della imputata, il legale Cristian Cristiano. Le parti civili, invece, sono rappresentate dall’avvocato Francesco Gelsomino.

La Cassaforte, l’uomo con la barba, i soldi spariti

Fare ordine nella incredibile sequela di eventi immediatamente successivi è compito arduo, sia per la pm “costretta” a ricorrere a contestazioni per facilitare il ricordo della testimone, sia per la difesa di Mirabelli spesso in contrasto con la versione dei fatti ascoltata, ed anche per la presidente della Corte d’Assise, Paola Lucente, impegnata in una serie di domande necessarie a ricevere ulteriori chiarimenti su fatti e circostanze finiti al centro del processo. Si parte dalla «sparizione» di Rocco Gioffrè, dal 14 febbraio di lui si perdono le tracce. «Tiziana Mirabelli, disse mia sorella, aveva riferito di un’uscita di mio padre salito a bordo di una macchina di colore scuro insieme ad un uomo con la barba». In quel momento le figlie della vittima non sono evidentemente a conoscenza del delitto. Il fratello Pasquale, invece, informerà Giovanna dell’assenza di soldi dalla cassaforte custodita in casa Gioffrè. «Era stata trovata aperta e mio fratello aveva ipotizzato un utilizzo dei soldi impiegati per organizzare il funerale del nipote di mio padre a San Fili, era gravemente ammalato», ma – aggiunge la teste – «quei parenti sono facoltosi ed era da escludere un aiuto economico». La teste ammette di aver conservato anche dei suoi risparmi nella medesima cassaforte. «I miei soldi erano riposti in una scatola rosa con un fondo bianco, quelli di mio padre in un’altra scatola di colore arancione. Non avevo la chiave, per prenderli dovevo rivolgermi a lui». E così avrebbe fatto la donna, in occasione – ad esempio – del compleanno del figlio.

Le tracce ematiche

Nel corso del “sopralluogo” effettuato nell’appartamento della vittima, nei giorni in cui non si aveva contezza del delitto, Giovanna Gioffrè confessa di aver «trovato e visto delle macchie di sangue nel lavello del bagno, quello che comunica con l’appartamento della Mirabelli e poi anche vicino la cassaforte e alla porta di ingresso dell’abitazione». Quelle tracce ematiche rinvenute «poi sono sparite, io non le ho tolte». Seguirà la segnalazione ai carabinieri e l’appartamento sarà posto sotto sequestro.
La teste viene sollecitata a fare delle precisazioni sul “collegamento” tra le due abitazioni – quella di Gioffrè e di Mirabelli, entrambe al quinto piano del palazzo situato in via Montegrappa numero 7 a Cosenza – «unite da un terrazzo comune, separato da un muretto alto più o meno un metro e scavalcabile da una persona esile» (come era Gioffrè, ndr).

Il “mistero” dei whatsapp

C’è un alone di mistero anche in relazione ad un particolare episodio citato, oggi in aula, sia da Francesca che da Giovanna Gioffrè. Si parla di due messaggi whatsapp che le sorelle dicono di aver ricevuto il 14 febbraio dal telefono di Rocco Gioffrè. Ad inviarli ovviamente sarebbe stata un’altra persona, presumibilmente in possesso del suo cellulare (ad oggi mai ritrovato). Dai tabulati in possesso delle parti, di quei messaggi e di quelle chiamate non c’è traccia. «Ho provato a contattare telefonicamente mio padre, ma il suo cellulare risultava sempre spento. Poi mia sorella mi ha detto di aver ricevuto dei Whatsapp ma non li ho mai visti, mi disse che erano stati cancellati».

I rapporti Gioffrè-Mirabelli

Così come sua sorella, anche Giovanna Gioffrè dice di non essere a conoscenza della presunta relazione amorosa tra suo padre e l’imputata. «La aiutava economicamente, mi disse che non poteva darle soldi tutti i giorni. In mia presenza non le ha mai fatto una carezza». Sul punto, l’avvocato Cristiano chiede alla teste se fosse a conoscenza del ruolo di capo condomino svolto da Mirabelli e della possibilità che il denaro consegnato alla sua assistita fosse proprio legato al pagamento delle quote e non ad una forma di sostegno. La teste conferma la circostanza, ma ribadisce le dazioni di denaro a favore dell’imputata.

La pressione dell’udienza

Mancano poche domande all’avvocato del collegio difensivo prima di congedare la teste. Che agitata «interrompe la deposizione e lascia l’aula», prima di farvi ritorno dopo qualche minuto. Gli ultimi chiarimenti riguardano le ferite sulle mani di Mirabelli. «Le ho viste il 15 febbraio, mi disse che si era fatta male con la “Vaporella”, le ho offerto tutto il necessario per una nuova medicazione». Altro elemento interessante emerge a seguito della domanda posta dall’avvocato Cristiano. Suo padre dormiva con un’ascia? Che fine ha fatto? «Si è rotta. L’ho presa io all’interno di un mobile, mi serviva per entrare in un appartamento da occupare, ero senza casa e l’unico modo per entrare era rompere la serratura della porta. Ma l’ascia si è spezzata, la signora del piano di sopra del condominio ha chiamato la polizia che è intervenuta. Sono stata denunciata». Quella odierna è l’ultima udienza del 2024 del processo. Si tornerà in aula a febbraio 2025. (f.benincasa@corrierecal.it)

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