MILANO Una carabina, un fucile, una pistola, un fucile semiautomatico e uno a canne mozze. E poi un Ak47, una mitraglietta UZI, un fucile a pompa, e decine e decine di munizioni. È quanto gli agenti della Squadra mobile di Milano nei box a Cambiago, nel corso di una perquisizione. Un blitz che ha portato all’arresto di Christian Ferrario, classe ’74, il cui fermo è stato convalidato dal gip Domenico Santoro. Armi da guerra, dunque, ma anche tre bombe a mano e, inoltre, due pettorine “Polizia” e un lampeggiante. Un vero e proprio arsenale utile a scatenare una “guerra” o rispondere al fuoco in una eventuale faida fra bande.
L’inchiesta sulle curve di Inter e Milan condotta dalla Dda del capoluogo lombardo si arricchisce di un nuovo e preoccupante capitolo, fornendo ulteriori spunti investigativi sulle reali capacità degli indagati non solo di fare business sul calcio, ma anche di ritagliarsi un certo potere sulla scena criminale milanese, all’ombra della ‘ndrangheta calabrese. Ferrario, infatti, è considerato un appartenente alla Curva Nord ed era dipendente del negozio della curva interista gestito a Pioltello da Andrea Beretta “We are Milano”, come è riportato agli atti della Dda. Andrea “Berro” Beretta è finito in carcere per l’omicidio di Antonio Bellocco (cl. ’88), rampollo dell’omonima cosca di ‘ndrangheta, ucciso a Cernusco sul Naviglio. Lo stesso Beretta che, da ormai ex capo degli ultrà della Nord dell’Inter, ha intrapreso il percorso da collaboratore di giustizia.
Lo scorso 22 novembre personale della Sisco e della Squadra Mobile di Milano, sulla scorta dell’acquisizione della notizia, hanno dato il via ad un serie di indagini per cercare di risalire al proprietario dei box di Cambiago, individuato in un soggetto che, agli agenti, spiega di aver fittato in nero i locali a «Cristian ed Andrea». Una volta arrivati a casa di Ferrario, l’ispezione aveva dato esito negativo per il ritrovamento della armi, ma gli agenti avevano trovato un mazzo di chiavi, tre delle quali effettivamente consentivano di aprire le porte basculanti del box attenzionato. Una volta entrati, i poliziotti, all’interno di alcuni armadietti in metallo posizionati in un angolo del locale e risultati aperti, hanno individuato diverse armi lunghe e corte. Dopo aver ascoltato le dichiarazioni del reale proprietario dei box, gli inquirenti sono convinti che quest’ultimo «sia stato contattato proprio da Ferrario, a cui sarebbero poi state consegnate le chiavi, e come la somma per l’affitto venisse corrisposta dall’indagato e, in alcuni casi, direttamente da Andrea Beretta», riporta il gip nella convalida del fermo.
Il nome di Ferrario non è nuovo agli inquirenti. L’uomo è già tra i protagonisti dell’inchiesta “Doppia Curva” dello scorso settembre che ha inflitto un duro colpo all’organizzazione criminale composta da ultrà dell’Inter e del Milan, agendo anche per conto della ‘ndrangheta calabrese che, dalle parti di San Siro, avrebbe messo radici profonde da alcuni anni. Già perché quei 40mila euro di cui parlano gli inquirenti, sarebbero soldi «corrisposti a Bellocco e Beretta quale corrispettivo della protezione mafiosa da loro fornita ad un imprenditore che aveva effettuato investimenti in Sardegna, osteggiati attraverso atti vandalici», sostiene proprio la Dda di Milano.
Per il gip, dunque, è priva di rilievo «l’argomentazione per cui, se avesse saputo della presenza delle armi, Ferrario avrebbe provato a disfarsene». Per il giudice, infatti, «appare ben difficile pensare che potesse facilmente, e indisturbatamente, disfarsi di un simile arsenale», ed è anche «illogico pensare, anzitutto, che Beretta occultasse quello che appare essere l’unico mazzo di chiavi all’interno dell’abitazione dell’indagato e, in secondo luogo, che egli potesse consentire l’accesso alla sua Santa Barbara da parte di un soggetto estraneo alle dinamiche criminali in cui operava». Inoltre, osserva ancora il giudice, la disponibilità dell’arsenale e dei segni distintivi e contrassegni della Polizia ad entrambi, Beretta e Ferrario, trova una solida radice «in quella relazione delittuosa effigiata già nell’ordinanza “Doppia Curva” dello scorso 28 settembre fra gli altri, nei confronti dello stesso Ferrario che rivela un tale livello di messa a disposizione dell’arrestato rispetto agli interessi di Beretta da rendere priva di credibilità l’alternativa lettura proposta dalla difesa». Secondo il gip, in sostanza, il ruolo svolto da Ferrario nell’operazione di intestazione fittizia ascrivibile ad Andrea Beretta e al defunto Antonio Bellocco «cristallizzata, in fase indiziaria, nelle emergenze riassunte nell’ordinanza citata, appare pienamente sovrapponibile a quello che è emerso dagli ultimi fatti esaminati».
Quello che emerge, almeno in questa fase, è dunque un quadro inquietante e che lascia intravedere «una proiezione criminosa del sodalizio già ritenuto sussistente ancora più preoccupante di quella finora emersa», osserva ancora il gip. Già perché il quantitativo di munizioni, la tipologia delle armi rinvenute – un Kalashnikov e una mitraglietta UZI da guerra – nonché la presenza di tre bombe a mano e la disponibilità di segni distintivi delle forze di polizia contraffatti per il gip «è una sinistra luce» su quanto già emerso in “Doppia Curva” circa l’associazione mafiosa. Secondo il giudice, infatti, appare «tanto singolare quanto preoccupante» che in un contesto come quello del tifo, generalmente in possesso di artifizi pirotecnici e se non di strumenti atti ad offendere, «si possa addirittura risalire una vera e propria Santa Barbara». Lascia perplessi, infatti, immaginare quale potesse essere la destinazione di armi da guerra e bombe a mano dall’elevatissima capacità offensiva e di giubbotti antiproiettile, di materiale utile a veri e propri agguati. (g.curcio@corrierecal.it)
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