COSENZA Assunzioni contro Annessione. E poi Bilanci, Consiglio di Stato, Debiti, Psu, Quorum… Nei mesi della campagna referendaria ci sono state tante parole d’ordine, ma abbiamo cercato di mettere in fila, quattro mesi dopo un primo embrionale alfabeto gli altri temi ricorrenti, da una parte e dall’altra, entrati nel lessico politico: qualunque sarà il risultato del referendum di oggi, una cosa è certa: mai come in queste ultime settimane i cittadini hanno riscoperto il piacere del confronto pubblico, dai toni anche aspri ma in momenti di dibattito salutare e, vivaddio, non solo sui social ma dal vivo.
Il primo rettore dell’Unical è considerato il padre nobile della Grande Cosenza: il 31 luglio del 1971 una firma a Palazzo dei Bruzi con il sindaco Fausto Lio mette per la prima volta nero su bianco lo spostamento a nord del baricentro cosentino: oltre mezzo secolo dopo, l’ateneo è il polo dello sviluppo dell’area urbana, con il nuovo ospedale all’orizzonte.
«Perché dovrei affidarmi a una classe politica che ha fatto fallire l’Amaco? I servizi funzioneranno peggio e costeranno di più» ha ripetuto spesso Sandro Principe ai favorevoli alla fusione che hanno usato come argomento forte l’unificazione e armonizzazione di servizi (vai alla lettera E-pro) e bilanci. L’inadeguatezza politico-amministrativa è stata, a sua volta, uno degli argomenti principe dei contrari al Comune Unico, che hanno addirittura affisso un manifesto coi volti bipartisan del Sì con domanda annessa: «Faresti decidere a loro il futuro della città?» e relativa polemica su toni e metodi: è una lista di proscrizione.
In tempi di astensionismo alle stelle, antipolitica e poca fiducia nella rappresentanza politica, i pro-fusione hanno rimarcato più volte l’importanza del momento democratico rappresentato dal referendum.
La replica degli anti-fusione è stata dal principio questa: nulla quaestio sul referendum come momento alto di partecipazione civica, ma l’operazione è stata al contrario «imposta dall’alto» con un’accelerazione del centrodestra firmata Simona Loizzo, Pierluigi Caputo e Luciana de Francesco.
Risale a dieci mesi fa la boutade di Salvatore Perugini («Chiamiamola Coreca, sarà come portare il mare a Cosenza»), poi non è mancata la ridda social: CoRe, come vent’anni fa ipotizzato da Nicola Adamo, Telesia o Pileria, Carenza; ma il secondo quesito è chiaro: le tre ipotesi sono «Cosenza, Cosenza Rende Castrolibero (non in ordine alfabetico ma di popolazione, ndr), Nuova Cosenza».
A proposito di denominazioni: «Diciamo no all’incredibile proposta del cambio di nome, ricordando agli immemori che di Cosenza si parla nella Divina Commedia, canto terzo del Purgatorio. Presidente Occhiuto, si può fare la storia in tanti modi. Ma bisognerebbe evitare la farsa» (Paolo Palma, presidente dell’associazione Dossetti e tra i promotori del “Comitato Cosenza No alla Fusione-Per una Città Policentrica, 16/11/2024).
L’operazione in tre step – e altrettanti consigli regionali tra fine luglio e fine novembre – di fare slittare la data dal 2025 al 2027 è uno dei motivi per cui i favorevoli alla fusione credono nella fattibilità del processo. Certo il caso Pescara (vai alla lettera P-contro) dimostra che la gestazione può essere ben più lunga di un biennio: la città adriatica vive questa fase dal 2018, tra continui ritardi e differimenti.
Le situazioni di affanno economico-finanziario dei tre enti coinvolti sono stati un altro argomento forte dei contrari. C’è anche chi ha calcolato quanti euro (3000) si accollerà ogni nuovo nato nell’eventuale nuovo comune unico (vai alla lettera T-contro).
Da un flyer diffuso dai Comitati del Sì: «Una sola amministrazione (invece delle tre attuali che non programmano insieme e spesso nemmeno comunicano tra loro) tutela meglio le esigenze di cittadini che già adesso organizzano la propria vita in un territorio unico e senza confini. La città unica pianifica e realizza meglio la raccolta dei rifiuti, la rete dei trasporti, lo sviluppo urbanistico, la rete culturale, la pratica sportiva, gli interventi sul sociale. Mai più 3 differenti piani di sviluppo separati. Le città che nascono da fusioni beneficiano di contributi finanziari stanziati da leggi stati ed erogati ogni anno. E possono ottenere finanziamenti nazionali e comunitari» (vai alla lettera F-contro).
Lo sviluppo a nord è un processo già consolidato nella formazione della cosiddetta “città-spaghetto” ma che taglierebbe fuori i casali presenti negli altri punti cardinali: una “città policentrica” e non verticale sarebbe al contrario formata dall’attuale sistema urbano insieme ai comuni che fanno corona, territorio di riferimento storico plurimillenario (i Casali, la Presila, l’area Piano Lago-Savuto, le Serre cosentine), circa 30 comuni tutti a non molti minuti di percorrenza da Cosenza. «Falso che la città unica di fatto esiste già» perché – si legge in un questionario del Comitato per la Città Policentrica strutturato nella forma delle Faq (Frequently Asked Questions, ovvero “domande frequenti”) – «non è una città» e «non ha forma e funzione né qualità urbana. È solo la somma di più agglomerati diversi per nascita e qualità, messi insieme uno appresso all’altro: una città lunga, stretta e ingestibile». Vai alla lettera M-pro.
La visione, l’impatto e la prospettiva della fusione hanno spinto i fautori del Sì a motivare la loro posizione guardando oltre l’hic et nunc: esemplare che da due esponenti politiche di schieramenti opposti ma entrambe madri, Luciana De Francesco di FdI e Maria Pia Funaro di Avs, sia arrivata la stessa riflessione, «è un’operazione che va fatta anche per garantire un futuro migliore ai nostri figli».
Un’altra donna molto attiva in questi mesi è stata Simona Loizzo: la deputata leghista, a margine di un incontro del centrodestra a Cosenza ha tranquillizzato gli scettici sui debiti «che non saranno spalmati sui cittadini del comune unico perché ci sono dei fondi per armonizzare il bilancio». Allo stesso modo, Pierluigi Caputo (Forza Italia), intestatario del pdl sul quesito, rassicura su un altro “totem” della campagna referendaria: «I 10 milioni l’anno per 15 anni ci sono eccome – spiega il consigliere e vicepresidente del Consiglio regionale – in base a un vecchio decreto Draghi convertito dal governo Meloni, è lo stesso finanziamento straordinario accordato a casali del Manco. La presunta mancanza di questi fondi, così come i dubbi su chi pagherà il debito, è un argomento usato strumentalmente dai sostenitori del No». Restano i dubbi sulla capacità di programmare prima e spendere poi, per cui ricorriamo a un’amara riflessione dell’ex sindacalista Cgil Emilio Viafora: «Ammesso che questi soldi ci siano, ricordiamo che non siamo stati capaci di spendere quelli del Pnrr…».
Sempre a proposito di casse, la risposta agli scettici su un eventuale accollamento dei debiti legati alla mala gestio soprattutto di Palazzo dei Bruzi è che le gestioni finanziarie dei tre comuni rimarranno separate per 5 anni dopo la fusione.
Una definizione che viene brandita a mo’ di esempio di annuncio mai realizzato (in realtà i sostenitori del Sì vi ricorrono per retrodatare alla candidatura di Guccione sindaco il progetto rilanciato 5 anni dopo da Franz Caruso nel suo programma vincente).
Il nuovo mega-hotel a 19 piani che dovrebbe essere edificato su via Popilia ha trovato favorevoli molti degli esponenti politici favorevoli anche alla fusione: la struttura a 5 stelle sarebbe, al netto del gigantismo, un servizio adeguato a una città da 110mila abitanti che per ora declina la propria ricettività soprattutto con una fitta rete di B&b.
Le macerie dell’ex sede Aterp alla confluenza sono il lato B di quella stessa cartolina turistica: simbolo di mala-amministrazione che per i fautori del No potrebbe assurgere a simbolo del rischio di ulteriore marginalizzazione del centro storico (vai alla lettera Z-contro).
I sostenitori del Sì affermano che la città unica avrà una pressione fiscale più bassa, mentre adesso i tre comuni applicano l’aliquota massima.
Suonerà strano in tempi di globalizzazione ma spesso si è sentito parlare di identità che verrebbero azzerate con il comune unico. Posizione condivisibile se si pensa alla toponomastica – nel caso non vincesse la denominazione tripla – ma fa un po’ sorridere chi pensa che «noi rendesi del centro storico siamo diversi da quelli della città nuova». La scissione dell’atomo.
Nel totocandidati in quota centrodestra c’è già il rettore dell’Unical. Come Manfredi a Napoli, la sua figura tecnica potrebbe piacere allo schieramento che così gli riconoscerebbe il ruolo propulsivo anche in ottica nuovo Policlinico. Fantapolitica? Vedremo.
Autarchia e difesa dei confini saranno pure temi “di destra” ma sono stati spesso giunti in soccorso ai contrari alla fusione, non necessariamente di quell’area politica (vedi anche Identità). «Alessandro il Molosso per aver varcato il Campagnano fu fatto a pezzi da noi rendesi, discendenti dei troiani» (Sandro Principe, 18/10/2024).
Curioso che lo sviluppo a nord disegnato dal nuovo comune non includa Montalto Uffugo, zona sempre più strategica quanto a trasporti e logistica, oltre che interessata anche dal futuribile nuovo ospedale in zona Unical (località Rocchi e Settimo).
Il raffronto numerico non è minimamente possibile, ma «Milano ha attorno a sé una corona di comuni eppure lì non si pensa ad alcuna fusione» ha detto Sandro Principe, specificando che «di città unica Giacomo Mancini non me ne parlò mai quando da sindaci abbiamo ragionato prima di altri nell’ottica di un’area urbana allargata».
Su 404 Comuni presenti in Calabria, sono 324 quelli con una popolazione residente inferiore ai 5.000 abitanti (circa l’80%), di cui 321 con meno di mille e 20 con meno di seicento abitanti. Quanto basta per ragionare sempre più in ottica fusioni. « C’è un numero maggiore di Comuni in Calabria che in Toscana, in Emilia-Romagna o nel Lazio», ha annotato Guerino d’Ignazio, docente di Diritto delle Autonomie Territoriali all’Unical.
«Non è che unendo i Comuni nasceranno più figli!»: battuta ascoltata durante un confronto pubblico a Rende (vai alla lettera S-contro).
La madre di tutte le leggi da cui nasce l’accelerazione sul comune unico viene ridimensionata anche da sinistra: «Non è una legge antidemocratica – ha detto Vittorio Pecoraro, segretario provinciale del Pd –, i dubbi di natura giuridica li lascio ad altri».
«I 400 milioni di debito pregresso di Rende che fine faranno? Di certo non saranno annullati con il colpo di spugna della fusione»: il sindaco di Castrolibero, Orlandino Greco, non ha dubbi che «a Rende il No è più prevalente che nella mia città, i rendesi hanno un fortissimo concetto di identità (vai alla lettera P, ndr). Noi non faremo sconti a nessuno e faremo una campagna in tutta la regione: delle 128 fusioni nate nel dopoguerra, nessuna ha fatto a meno dell’impulso dei Consigli comunali».
Nel territorio del comune di Cosenza, secondo Cerved, operano 7.800 aziende con sede principale nel comune, alle quali vanno aggiunte oltre 2.500 sedi di aziende. Nel Comune di Rende operano circa altre 4.500 imprese con sede principale nel comune e altre circa 2.000 sedi di aziende. A queste imprese sono da aggiungere le altre che operano nel Comune di Castrolibero.
I dieci anni di gestazione per creare la nuova città adriatica sono stati spesso presi a modello negativo da chi voleva corroborare la complessità di un processo i cui esiti potrebbero vedersi fra troppo tempo, rimanendo magari in un limbo commissariale in cui la politica come democrazia rappresentativa ed elettiva sia confiscato.
Con una platea elettorale più vasta la selezione della nuova classe dirigente sarà più spietata e serviranno più preferenze, non basterà il famoso “condominio” per occupare un posto in Consiglio comunale. Sulla quantità non si può che essere d’accordo, legittimo il dubbio sulla qualità della proposta ma questo è un altro discorso.
Walter Nocito, decente di Diritto pubblico all’Unical, in una partecipata assemblea in Cgil ha segnalato una anomalia: il quesito referendario menzionato nel testo è singolo ma sono due nel decreto di indizione firmato il 7 ottobre scorso dal presidente Occhiuto, uno sul sì/no e uno sul nome, e su questo si potrebbe sollevare qualche dubbio anche in sede giuridica.
I costi della politica che si ridurranno – un solo sindaco, un solo consiglio comunale e una sola giunta – sono un altro argomento fortissimo presso i favorevoli, e non solo del Movimento 5 Stelle, che peraltro sul tema fusioni non ha preso posizioni ufficiali al netto di qualche uscita sparuta.
A proposito di Rende, chi vede in questa fusione piuttosto un’annessione pensa implicitamente che proprio il Comune oggi commissariato sia piuttosto il traino del nuovo ente: Pil, qualità della vita, Unical e futuro Policlinico sono in quest’ottica determinanti e i rendesi sentono puzza di spoliazione o comunque cessione a favore degli altri due comuni.
La perdita del posto di lavoro degli addetti di Rende Servizi è stata bollata come fake news da destra (Alfredo Antoniozzi, FdI) a sinistra passando per i sindacati.
Alcuni temi sono del tutto assenti, come lo spopolamento: se Reggio Calabria si è elevata al rango di Città Metropolitana con aree demografiche importanti, l’hinterland di Cosenza – con il capoluogo che ha registrato uno spopolamento negli ultimi tre decenni da 102mila a 60mila abitanti – rischia di ritrovarsi di qui a dieci anni già sotto i 100mila.
Una città unica lungo i 98 chilometri del Tirreno cosentino, da Amantea ad Aieta: il senatore di Fratelli d’Italia Fausto Orsomarso si porta avanti e si sbilancia: l’Alta Velocità si farà e passerà da lì. Fusione a parte, sarebbe una buona notizia ma per il momento resta un annuncio.
I debiti di Cosenza si riverseranno sui cittadini di Rende e Castrolibero in caso di fusione? «È palesemente falso» ha risposto il vicecapogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Alfredo Antoniozzi. «Lo dice testualmente l’articolo 22 del dl 50/2017 che consente in caso di fusione di tenere separate le aliquote per i contribuenti. Per cui se si realizzerà la città unica i cittadini di Rende e Castrolibero non pagheranno un euro in più di tributi».
Secondo Giacomo Mancini, coordinatore dei comitati per il Sì, la «città del terzo millennio» dovrà avere «due magneti potenti: Unical e centro storico di Cosenza».
Il nuovo Comune dell’Emilia-Romagna (istituito nel 2014 dopo il referendum 2012) viene evocato come paradigma del decisionismo di un presidente di Regione, che ha proceduto nonostante il No in 2 dei 5 Comuni (tra i quali Bazzano, sede del Municipio). Il governatore in questo caso era di centrosinistra (il dem Bonaccini).
«Una scatola vuota da riempire di contenuti a partire da lunedì 2 dicembre»: uno dei refrain più ascoltati dagli esponenti dei Comitati per il Sì.
“Ohi co’”: uno dei manifesti per il No ha aggiornato un tormentone del sindaco Mancini. Con il detto «chini lassa ‘a via vecchia pe’ ra nova» etc etc.
Per i comitati per il Sì aumenterà il valore delle abitazioni e dei terreni in una città «più attrattiva» dove «arriveranno nuovi capitali, persone e investimenti» che «aumenteranno la ricchezza procapite».
Con lo spostamento dell’asse urbanistico a nord, davvero l’isola pedonale di Cosenza è destinata a marginalizzarsi come è accaduto nel dopoguerra al centro storico? È un fatto che, al momento, anche i due borghi di Castrolibero e Rende non se la passano benissimo, i contrari alla fusione dissentono dai favorevoli che immaginano una rinascita di periferie e centri storici. (e.furia@corrierecal.it)
L’ANALISI | Referendum: sì o no alla città unica…sì o no al centralismo regionale?
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