ROMA Ogni giorno ci sono 60mila italiani in pronto soccorso: è come se l’intera popolazione di Cosenza fosse in attesa di essere curata. «L’assalto ai Dipartimenti di emergenza e urgenza si era placato con il Covid, quando dai 21 milioni di accessi del 2019 si era scesi ai 13 milioni del 2020, ma già nel 2023 è stata superata quota 18,2 milioni, il 6% in più dell’anno precedente. Le proiezioni sull’intero 2024 – calcola il Messaggero in un approfondito articolo pubblicato oggi – confermano l’incremento e secondo gli esperti molto probabilmente si andrà oltre ai 19 milioni. Un milione in più».
Secondo uno studio di Agenas, il 22% degli accessi al pronto soccorso è improprio (uno su quattro non dovrebbe andare in ospedale, solo finisce lì perché non sa a chi rivolgersi), ma intanto: chi dovrebbe essere ricoverato trascorre anche 48-72 ore sulle barelle, a volte stipato nei corridoi, in condizioni non dignitose; chi invece cerca una risposta rapida per un problema banale (ma che comunque non può essere trascurato) rischia di trascorrere la giornata in pronto soccorso ad aspettare.
Proprio il direttore generale dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, Domenico Mantoan, con una provocazione ha spiegato: se abbiamo così tante richieste nei pronto soccorso «è perché il cittadino non trova risposte sul territorio. O ci sbrighiamo creando un nuovo modello di cure primarie o abbandoniamo questa strada e triplichiamo i pronto soccorso perché al cittadino bisogna dare una risposta».
Il problema è che i pronto soccorso non si possono triplicare, non solo perché non ci saranno mai risorse sufficienti, ma perché non ci sono medici e infermieri da mandare in prima linea: Simeu (Società Italiana di Medicina di Emergenza Urgenza) ha spiegato che mancano almeno 5mila medici per i pronto soccorso, mentre il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha osservato: «Nelle strutture del servizio sanitario nazionale ci sono 4.312 medici specializzati in emergenza-urgenza. Aumentare i posti di specializzazione non basta, se poi non vengono coperti. Lo scorso anno nei posti messi a bando ne sono stati assegnati uno su quattro».
«Per essere chiari: tra chi studia medicina, in pochi – scrive il quotidiano romano – sognano di lavorare in pronto soccorso, perché sei in prima linea, perché sei a rischio aggressioni (nonostante le norme più severe varate dal Governo), perché sei sempre a rischio di denunce e perché difficilmente puoi fare attività privata per guadagnare di più. Al Ministero ricordano che l’indennità per gli operatori sanitari è stata rifinanziata e c’è anche l’aumento del trattamento economico per specializzazioni meno attrattive come emergenza urgenza. Ma difficilmente ci sarà una svolta in tempi rapidi (e per questo le Asl continuano a ricorrere alla formula dei “gettonisti”)».
Intanto si allungano in modo drammatico le attese medie pre-ricovero. Secondo una ricerca dell’Osservatorio di Simeu nel 2019 era di 25 ore, nel 2023 sono diventate 31. In media si resta sei ore in più in pronto soccorso prima di essere ricoverati (problema globale che investe tutto il mondo occidentale anche a causa dell’età media che si sta alzando) e «se sei anziano – scrive il Messaggero – e prima del ricovero sei costretto a trascorrere più di 24 ore in attesa sulla lettiga in pronto soccorso perché non c’è posto in reparto, hai quasi il 50% di probabilità di morire in più di chi invece viene ricoverato rapidamente. Allo stesso modo si allungano anche i tempi medi per essere assistiti nei casi meno gravi: a livello nazionale sono di 164 minuti per i codici bianchi, per i verdi 229, per i gialli 416. Questo dato calcola il tempo da quando arrivi e quando te ne vai, per questo i gialli (meno banali) restano più a lungo. Ma per essere assistiti, se sei un caso non grave, puoi aspettare anche intere giornate».
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