LAMEZIA TERME Già con la sentenza risalente al 2004, diventata poi irrevocabile tra il 2005 e il 2006, era stata accertata l’esistenza della cosca di ‘ndrangheta “Anello-Fruci”, fin dal 1988, nell’ambito della quale la posizione di vertice era occupata da Rocco Anello (cl. ’61) mentre Tommaso Anello svolgeva il ruolo di luogotenente del fratello nei periodi in cui era detenuto. La cosca in questione operava nel territorio del comune di Filadelfia e nei limitrofi comuni di Polia, Maida, Curinga, Francavilla Angitola, Pizzo, San Nicola da Crissa, Monterosso Calabro e Capistrano. Con l’inchiesta “Imponimento” della Dda di Catanzaro, dunque, è stata accertata l’operatività della cosca nel periodo successivo al 2004. Fino al giugno di quest’anno, con la prima sentenza del processo ordinario di primo grado, celebrato davanti ai giudici del Tribunale di Lamezia Terme, in aula bunker, per i 73 imputati.
Condanna pesantissima quella emessa nei confronti di Tommaso Anello. Per lui, infatti, i giudici hanno disposto trent’anni di carcere. Il giudizio di responsabilità nei suoi confronti «si fonda su molteplici elementi probatori che convergono a dimostrare l’ipotesi d’accusa», riportano i giudici nelle quasi 2mila pagine di motivazioni. Il fratello del boss Rocco Anello, infatti, è soggetto indicato dai collaboratori di giustizia quale esponente della cosca Anello-Fruci che, insieme al fratello, «rivestiva un ruolo di primo piano anche nell’ambito del settore delle sostanze stupefacenti».
Come scrive ancora il collegio giudicante, infatti, i collaboratori di giustizia «indicano in modo chiaro la caratura criminale dell’imputato», in particolare Andrea Mantella fornisce informazioni che, almeno in parte, coprono il periodo della contestazione poiché ha intrapreso il proprio percorso di collaborazione nel maggio 2016, ed è stato quindi in grado di «dare indicazioni idonee a chiarire la posizione e il ruolo dell’imputato».
I giudici descrivono come «lineare e precisa» la narrazione del collaboratore di giustizia, nella misura in cui «declina le procedure che venivano seguite in relazione allo approvvigionamento e allo smercio della sostanza stupefacente». Di estremo rilievo, poi, anche i dialoghi intercettati da cui è emersa la «costante disponibilità di droga che il prevenuto era in grado di movimentare e immettere sul mercato», riportano i giudici, secondo i quali sarebbe «eloquente» l’intercettazione del 20 aprile del 2017 sul dispositivo del figlio di Tommaso Anello, Rocco (cl. ’91). Dal dialogo, infatti, si coglie «chiaramente la trattativa in corso con due soggetti rispondenti al nome di Turi e Mimmo (ossia Vita Salvatore e Domenico Tripodi), soggetti legati al clan Tripodi di Vibo Marina e i fatti s’innestano nell’ambito dei rapporti tra le consorterie mafiose Anello e Tripodi». Di particolare pregnanza è, sempre secondo i giudici, il passo della conversazione da cui si evince che Tommaso Anello «comunica a Domenico Tripodi di aver ricevuto 100 kg di erba per il prezzo di euro 1.200 al Kg, affermando che il narcotico era di buona qualità».
Nelle motivazioni che riguardano la condanna a trent’anni di Tommaso Anello, i giudici riportano ad esempio le dichiarazioni di alcuni pentiti. Come, ad esempio, quelle di Emanuele Mancuso: «(…) mi narravano che Tommaso Anello, fratello di Rocco, faceva paura perché sparava, dicendomi contestualmente che era stato lui l’artefice dell’omicidio dell’amante della moglie del fratello Rocco…» e ancora: «(…) ho sentito parlare della famiglia Anello, quale famiglia di ‘ndrangheta che comanda nel territorio che va da Filadelfia fino a San Nicola da Crissa, sin da quando ero molto giovane…». Il collaboratore Onofrio Barbieri, affiliato al clan Bonavota, ha spiegato che in alcune occasioni il fratello si è dovuto rivolgere alla cosca Anello-Fruci, e in particolare ai suoi esponenti Rocco e Tommaso Anello.
E poi ci sono Francesco Michienzi e Giovanni Angotti, intranei alla cosca, e quindi secondo i giudici «fonte particolarmente qualificata, addentro alle dinamiche della consorteria». Le loro informazioni sono collegate alla posizione di assoluto rilievo all’interno della cosca Anello-Fruci, di cui ben «conoscono la struttura e le risorse, anche umane, a disposizione della stessa», scrivono ancora i giudici. Gli altri collaboratori di giustizia, esterni alla cosca di riferimento ed essenzialmente esponenti di spicco se non addirittura al vertice delle rispettive compagini criminali, come Giuseppe Giampà e lo stesso Andrea Mantella, «hanno concordemente indicato Tommaso Anello quale soggetto ai vertici della consorteria, braccio destro del fratello Rocco». (g.curcio@corrierecal.it)
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