LAMEZIA TERME Con Angelo Bonelli, leader dei Verdi e di Alleanza Verdi e Sinistra, oggi parliamo di lotta alla criminalità e di interventi per evitare le infiltrazioni nei partiti e negli uffici pubblici, per proteggere le comunità locali dai tentacoli mafiosi. Il Corriere della Calabria ha avviato un inedito approfondimento con l’obiettivo di capire come i partiti si stanno muovendo o intendono muoversi su questi temi, ormai cancellati dal dibattito politico (qui il link). Nelle scorse settimane avevamo intervistato l’europarlamentare Pasquale Tridico (qui il link), capo delegazione del Movimento Cinque Stelle, e Sonia Alfano (qui il link), già presidente della Commissione speciale del Parlamento Ue sul crimine organizzato, la corruzione e il riciclaggio di denaro.
Onorevole Bonelli, quanto tutto il materiale disponibile sulla pervasività delle mafie scuote oggi le coscienze nei territori e nei palazzi del potere?
«Rispetto alla pervasività e dannosità delle mafie, oggi si registra più coscienza nei territori e nelle scuole, ma bisogna aumentare il livello di informazione e di consapevolezza attraverso una maggiore documentazione e, aggiungo, un confronto con gli attori che oggi contrastano la criminalità organizzata; a partire dai magistrati, che purtroppo stanno subendo una drammatica delegittimazione da parte del governo in carica».
Accade che la repressione delle mafie e l’esaltazione dell’antistato siano poste sullo stesso piano. Che cosa ne pensa?
«La lotta alla mafia e l’antistato non vanno mai messi sullo stesso piano. L’antistato è l’anticamera dell’illegalità e della costruzione di quegli oligopoli illegali che minano la società civile. È chiaro che oggi la questione è molto seria, ma va riaffermato il ruolo fondamentale dello Stato nella lotta alla mafia, quindi anche in difesa della democrazia».
Le mafie si possono sconfiggere soltanto con gli apparati della giustizia?
«Assolutamente no. La mafia non si sconfigge solo con la repressione ma si batte anche attraverso un modello culturale basato sulla legalità, facendo funzionare gli apparati dello Stato, semplificando. Uno degli strumenti fondamentali con cui la mafia si rafforza è la corruzione, quindi bisogna contrastarla. Questo è uno dei motivi per cui noi abbiamo in Parlamento contrastato l’abolizione dell’abuso d’ufficio e votato contro. Si tratta di un reato borderline con altri tipi di reati, come la corruzione, che possono alimentare la criminalità organizzata. Oggi il ruolo dell’informazione, quello della scuola e l’affermazione di valori di legalità sono sempre più importanti per contrastare la mafia e tutte le mafie.
Nel dibattito politico e pubblico è piuttosto scomparso il tema della lotta alla criminalità organizzata. Perché?
«Vero, il tema è uscito dall’agenda politica, in particolare del governo. La lotta alla criminalità organizzata non è più una priorità, non solo dal punto di vista della comunicazione ma anche nei fatti concreti. Ricordo che sono stati drasticamente ridotti gli investimenti per le intercettazioni e c’è tutto un dibattito volto a ridurne l’uso. Nel Senato della Repubblica è stata approvata una legge, a firma del senatore Pierantonio Zanettin, che riduce a 45 giorni l’uso delle intercettazioni. Il ministro Carlo Nordio ha definito i trojan “una grande porcata”, uso una sua espressione. Ma il trojan è stato quello strumento investigativo che ha peraltro consentito di scovare Matteo Messina Denaro. Ci troviamo in una fase storica in cui è insistente il tentativo di delegittimazione della magistratura e di riduzione degli strumenti investigativi e di contrasto della criminalità organizzata. Allora è d’obbligo cambiare: bisogna rafforzare il ruolo della magistratura e quello delle forze dell’ordine; occorre potenziare gli strumenti investigativi, comprese le intercettazioni, e garantire la massima trasparenza del sistema economico».
Esponenti politici e dell’antimafia civile lamentano che le infiltrazioni mafiose nei partiti e negli uffici pubblici sono un problema ancora sottovalutato. Qual è il suo giudizio.
«Per noi Verdi e Alleanza Verdi e Sinistra, il tema della legalità è una questione importantissima, a partire dalla pubblica amministrazione, che svolge un ruolo fondamentale. Difatti, se la pubblica amministrazione funziona in maniera corretta e dà risposte certe e rapide a cittadini e imprese, garantisce la riduzione di fenomeni corruttivi. C’è allora la necessità di una battaglia ancora più forte per l’efficientamento della pubblica amministrazione, che porti a una maggiore semplificazione e trasparenza delle procedure. Troppe volte i diritti sono stati mercificati: sono diventati favori in cambio di qualcosa. Questo è inaccettabile nel nostro Paese ed è necessario, quindi, anche un vero e proprio salto culturale».
Quali iniziative sta portando avanti il suo partito per allontanare eventuali avvicinamenti di mafiosi o di soggetti in odore di mafia?
«Le infiltrazioni dei mafiosi nella politica e nella pubblica amministrazione sono un problema molto serio. Compito della politica è cercare di arrivare prima che arrivi la magistratura. Per quanto ci riguarda, noi abbiamo un Codice etico, al nostro interno, che impedisce comportamenti eticamente non accettabili e situazioni di conflitti di interesse. Quindi cerchiamo in una maniera molto rigorosa di selezionare il gruppo dirigente, capendone la provenienza. Come Verdi, la nostra storia è legata alla battaglia per la legalità. Personalmente ho avuto la casa e la macchina bruciata a causa di attentati e sono stato sotto scorta in virtù delle tante battaglie per la legalità e contro la criminalità organizzata».
La questione morale è fuori dallo sguardo della politica?
«La questione morale è stata dimenticata dalla politica, purtroppo. Guardiamo il Parlamento: abbiamo parlamentari che sono stati condannati per peculato e corruzione, con sentenze passate in giudicato. Abbiamo, poi, l’editore dei quotidiani “Il Tempo”, “il Giornale” e “Libero”, l’onorevole Angelucci, che è il deputato più assenteista della storia della Repubblica, non si è mai presentato in Parlamento e continua a fare il deputato. Ci sono questioni che riguardano anche i comportamenti dei singoli, che sono fondamentali per costruire una percezione diversa delle istituzioni e, proprio nella sostanza, una visione fiduciosa dei cittadini».
Che cosa pensa della cosiddetta “lista degli impresentabili” redatta dalla Bicamerale Antimafia: è uno strumento adeguato o è insufficiente a preservare la politica e le istituzioni pubbliche da tentativi di penetrazione mafiosa?
«Penso che sia importante che lo Stato dia modo agli elettori di sapere chi vanno a votare e quindi se vi sono pendenze giudiziarie di un certo rilievo. È chiaro, però, che vanno fatte delle distinzioni: c’è una differenza sostanziale tra chi ha subito un rinvio a giudizio per diffamazione o perché si è battuto in difesa del territorio, magari bloccando una strada per fermare il taglio di una foresta, e chi, invece, è accusato di corruzione o di altri reati gravi contro la pubblica amministrazione. Ci sono, insomma, questioni che vanno ben differenziate: un conto è battersi in difesa dell’ambiente e magari, in virtù di un atto di sorveglianza civile, subire un’indagine; altra è la posizione di chi si fa corrompere o ha rapporti con la criminalità organizzata. Allora andrebbe razionalizzato il ruolo della Commissione Antimafia nell’indicare i cosiddetti “impresentabili”. Tuttavia, ribadisco, è necessario che ci sia uno strumento che consenta ai cittadini di poter fare la migliore scelta».
Quanto la povertà, il disagio sociale e la precarietà lavorativa possono favorire l’espansione delle organizzazioni mafiose?
«Sì, purtroppo molti comuni della Calabria e di altre regioni sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose. Il lavoro che va svolto, ovviamente, è sempre di massima fiducia e sostegno verso la magistratura. Ma c’è bisogno anche di formare la consapevolezza che la mafia si respinge, se si costruisce un tessuto sociale in nome e per conto della legalità, in difesa della nostra democrazia. La scuola e le famiglie svolgono una funzione primaria: sono i luoghi in cui va alimentata la cultura dell’antimafia, elemento fondamentale per non chiudere gli occhi, per mettere all’angolo i mafiosi e assicurarli alla giustizia. I giovani sono molto attenti in questo senso: la cultura dell’antimafia è sempre più presente nei giovani. Per vincere questa battaglia, dobbiamo rafforzare tutti gli strumenti educativi, oltre, come ovvio, a quelli giudiziari».
La criminalità organizzata ostacola lo sviluppo e il progresso del Mezzogiorno. Quali iniziative si possono avviare per aiutare le comunità meridionali a respingere il dominio delle cosche?
«Il disagio sociale e gli ambienti di povertà sono i luoghi in cui la criminalità organizzata recluta spesso la propria manovalanza. La forte marginalizzazione sociale delle nostre periferie, e anche di quelle del resto dell’Europa e del mondo, causa e alimenta il reclutamento di persone da parte della criminalità organizzata. Quando lo Stato è assente e dimentica i luoghi di marcato degrado sociale – per esempio non investendo nella cultura, nella scuola, nello sport e nella formazione –, i giovani, in preda alla devianza sociale, possono essere conquistati dalla criminalità organizzata, dal guadagno facile, andando poi a delinquere. C’è la necessità di un grande investimento nelle nostre periferie: per contrastare la povertà sociale e la povertà educativa, per avviare percorsi di formazione al lavoro, per incentivare lo sport. Purtroppo, le nostre periferie sono abbandonate: nei luoghi urbani di povertà sociale non ci sono investimenti da parte dello Stato, che pensa di investire in altro, intanto in armamenti, con evidente impoverimento del nostro Paese».
In Calabria è stata commissariata di recente l’Asp di Vibo Valentia, a causa di infiltrazioni di ’ndrangheta. Come evitare il controllo della sanità da parte delle organizzazioni criminali o il clientelismo nei luoghi pubblici di cura?
«Il malfunzionamento della sanità, non solo in Calabria, è anche frutto di una logica clientelare che ha distrutto gli investimenti in tutela della salute per favorire pochi noti. Le cronache giudiziarie ci dicono che i capi mafiosi controllano anche strutture sanitarie e si attivano per anticipare visite diagnostiche o condizionare l’attività di ospedali e altri centri pubblici. Non possiamo né dobbiamo permetterlo. Perciò è necessaria una coraggiosa riforma del Servizio sanitario e prevedere che non sia la politica a nominare i primari. In termini schietti, va imposto il merito. L’andamento attuale della sanità mostra quanto il clientelismo, molto legato alla mafia, abbia danneggiato un servizio pubblico essenziale, compromettendo un bene primario come la salute. Bisogna investire molto nella tutela della salute e far funzionare la sanità pubblica in maniera efficiente. Però bisogna potenziare sempre la sanità pubblica, non lasciare risorse a quella privata. Questo è un punto decisivo».
x
x