CROTONE Un’attenzione quasi maniacale alle forze dell’ordine. Un sentimento sia di “paura” che di “sfida” nei confronti della giustizia, come sottolinea il gip Gilda Danila Romano nell’ordinanza che ha portato all’arresto di sei persone a Crotone. L’accusa è di aver gestito un’organizzazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti, tra cui marijuana, hashish e cocaina. Presunto capo della società è Francesco Riggio, verso il quale il gip ha disposto la custodia in carcere insieme ai due figli e i presunti aiutanti. Una società dedita allo spaccio a conduzione familiare, gestita direttamente dalla propria casa e che vedrebbe coinvolta anche la moglie Angela Sacconi, per la quale sono stati disposti i domiciliari. Nelle indagini gli investigatori non solo ricostruiscono la numerosa mole di episodi di spaccio al «quartier generale», ma anche le maniacali attenzioni per prevenire i controlli delle forze dell’ordine, con un occhio anche sulla stampa locale per tenere conto delle perquisizioni.
Già ristretto ai domiciliari per altri motivi, Francesco Riggio, ritenuto promotore, ideatore e direttore dell’organizzazione, avrebbe più volte raccomandato attenzione sui controlli, lamentandosi della troppa legge in giro. Acquirenti, come ricostruito nell’inchiesta, di tutte le età, italiani e stranieri, tutti avvezzi e già istruiti, basta farsi vedere per pagare e ricevere. Ma anche con la vaga idea, non sempre rispettata, di attendere e fermarsi nei momenti più caldi, ovvero quando c’erano state perquisizioni. Gli inquirenti avrebbero captato diverse conversazioni dalle quali sarebbe emerso un “monitoraggio” dei movimenti delle forze dell’ordine. Nel commentare anche perquisizioni, arresti e amici fermati, sarebbe emersa anche la paura e il timore di vedersi presto arrestati, alla quale però si affiancava una sorta di “sfida” verso le forze dell’ordine. Tanto che Riggio, ad esempio, si sarebbe vantato di aver interloquito ed affrontato a tu per tu l’ispettore che era entrata a casa sua.
Particolare è poi l’episodio di “scontro” con uno spacciatore seriale della famiglia. Francesco Riggio si sarebbe lamentato dei domiciliari che gli impedivano di andare personalmente da quest’ultimo per aggredirlo visti i suoi ritardi nei pagamenti. Anche dopo che questo si lamentava di aver subito un sequestro, Riggio, secondo la ricostruzione, avrebbe comunque nutrito dubbi perché non avrebbe letto alcuna notizia sulla stampa.
Un modus operandi che teneva conto anche di possibili intercettazioni, con l’utilizzo di un linguaggio volutamente – ma inutilmente – criptico. Così, dal lavoro degli investigatori, si riesce a ricostruire il gergo utilizzato per fare riferimento alla droga, a volte indicata con il termine «caramelle» o «basilico», altre volte facendo riferimento «al fare una puntata». In particolare, in un episodio un assuntore abituale avrebbe chiesto «dieci minuti di cioccolata». Un’espressione che gli inquirenti non esitano a definire come una distonia terminologica che faceva comprendere come si stesse facendo riferimento, invece, al quantitativo di dieci grammi, o al limite di 10 euro, di qualcosa, evidentemente sostanza, vista la necessità di “parlare di cioccolata” e di sentirsi a notte fonda. (Ma.Ru.)
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