MILANO L’immagine non è più quella del pastore analfabeta con coppola e fucile, ma di un uomo distinto, capace di relazionarsi con gli assidui frequentatori delle stanze dei bottoni e dei salotti del potere, “armato” di valigetta piena di contanti. La mafia è cambiata, la ‘ndrangheta si evolve. Le estorsioni pretese dietro minaccia e pressioni vengono sostituite gradualmente dalle “imposizioni” di materie prime o altri bene venduti da imprese e società apparentemente pulite, gravitanti nella galassia dei clan.
Non pare assurdo dunque difficile immaginare come e perché gli interessi e gli appetiti della mala calabrese si siano rapidamente spostati al Nord, soprattutto a Milano: capitale della finanza. «Senza spari è cambiato tutto», dice qualcuno intercettato in una recente inchiesta sulle organizzazioni mafiose in Lombardia. La frase è emblematica, e mostra come le pubbliche relazioni abbiano gradualmente sostituito fucili e pistole, la parola e non il sangue per fare affari e aumentare la disponibilità di denaro illecito. «Intestazioni fittizie sono i reati che riscontriamo con più frequenza nelle indagini, hanno preso il posto delle estorsioni», racconta ad Avvenire Alessandra Dolci, a capo della Dda di Milano. Una circostanza che trova conferma nelle contestazioni mosse nelle inchieste e rivolte ai presunti appartenenti alle associazioni a delinquere di stampo mafioso: bancarotta, frode fiscale, truffa ai danni dello stato».
Dolci illustra i dettagli riferiti e riferibili al new deal imposto dalla criminalità organizzata. «E’ un modello tripartito che vede la presenza di un’impresa committente di dimensioni medio grandi, una società filtro che acquisisce il contratto di appalto e, alla base, una serie di cooperative di produzione e lavoro che sono meri contenitori di manodopera, restano in vita non più di due-tre anni e, soprattutto, sono evasori totali». Il modello si regge sulla emissione di fatture false e per operazioni inesistenti, attraverso la cessione di «fittizi crediti».
Quel mondo criminale regolato dalle leggi imposte attraverso la violenza non esiste più. La procuratrice di Milano conferma. «Sono quasi sparite le manifestazioni più classiche dell’essere mafioso: le mangiate, i rituali di affiliazione, il conferimento delle doti (…) il ricorso alla violenza è divenuto residuale, ma, attenzione ciò non significa che nella ‘ndrangheta sia in atto una mutazione genetica che la riconduca ad un fenomeno di devianza economica. Resta immutata la struttura, con il collegamento tra le locali lombarde e la Calabria». La terra natia resta il centro nevralgico degli affari, il governo centrale della ripartizione degli affari e risoluzione delle controversie. E le locali calabresi di riferimento, «sono sempre quelle: Platì, San Luca, Africo (la “Montagna”), Rosarno, Gioia Tauro (la Piana)», sottolinea Dolci ad Avvenire.
I colpi assestati dalle frequenti e numerose operazioni, rappresentano un freno all’espansione delle ‘ndrine: capaci tuttavia di rigenerarsi. L’immagine offerta da “Hydra“, il mostro a più teste, è emblematica. E’ stato scelto quale nome in codice di una delle più importanti attività investigative concluse nel Nord Italia, dove si «è registrato un fenomeno nuovo: un consorzio tra Cosa Nostra, Camorra e ‘ndrangheta». Un patto di non belligeranza sancito tra vertici criminali e riassunto in un estratto di una intercettazione finita agli atti dell’inchiesta. «Ci siamo fatti autorizzare tutto da Milano…passando dalla Calabria, da Napoli». (f.benincasa@corrierecal.it)
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