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Morrone termina il rapporto con il Comune di San Giovanni in Fiore

Il giornalista ha denunciato d’aver subito continue lesioni della reputazione professionale, diffamazioni e aggressioni verbali

Pubblicato il: 31/12/2024 – 10:35
Morrone termina il rapporto con il Comune di San Giovanni in Fiore

SAN GIOVANNI IN FIORE In una lunga diretta Facebook sul proprio profilo, ieri sera il collega Emiliano Morrone, tra le firme del Corriere della Calabria, ha chiarito perché ha lasciato di recente l’incarico di addetto stampa dell’amministrazione comunale di San Giovanni in Fiore. Il giornalista ha denunciato d’aver subito per quattro anni continue lesioni della propria reputazione professionale, diffamazioni e aggressioni verbali diffuse, anche per strada e in presenza dei figli minorenni. Questi fatti, ha precisato, insieme alla conseguente perdita di opportunità lavorative, l’hanno indotto a rifiutare il rinnovo del contratto offertogli dal Comune dopo la cessazione del rapporto, avvenuta lo scorso 18 novembre.
Morrone ha spiegato d’aver subito un discredito «sistematico e ossessivo», con il tentativo di attribuirgli un marchio e un ruolo politico. Ha detto che contro di lui sono state diffuse «divertite menzogne» via social e, con diverse lettere anonime, anche a mezzo stampa. Inoltre, Morrone ha subito una condanna a più di 20mila euro di spese legali, al termine di una causa civile che aveva avviato per tutelare la propria reputazione e la sua dignità professionale e personale. Nello specifico, nel 2021, un esponente politico locale lo aveva accusato d’aver «fatto il gioco del sindaco» in relazione a un Consiglio comunale e ne aveva chiesto pubblicamente le dimissioni, in quanto «pagato con i soldi dei cittadini». Ma il giornalista era tenuto per contratto – sottoscritto a conclusione di un avviso pubblico del Comune di San Giovanni in Fiore – a riportare soltanto la voce del sindaco e della giunta, non le posizioni dei consiglieri comunali.
In seguito alla condanna, peraltro abnorme, Morrone ha avviato una raccolta fondi on line (qui il link), visto che le sentenze di primo grado sono immediatamente esecutive, sostenuta anzitutto da Salvatore Borsellino, fratello del magistrato Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia.
«Io non ho mai mescolato l’incarico con il Comune di San Giovanni in Fiore con le mie idee politiche, e non devo giustificarmi di alcunché, perché non ho rubato niente a nessuno e ho svolto soltanto il mio lavoro, dovendo sopportare continui attacchi alla mia persona», ha raccontato Morrone, che ha denunciato: «Ero da eliminare professionalmente, secondo taluni, e non dovevo permettermi di svolgere il mio lavoro di giornalista a casa mia. Benché non fossi stato chiamato a svolgere un ruolo politico o un ruolo amministrativo, sono stato contestato come se fossi stato un assessore, un consigliere comunale o un militante di partito. Ma il punto è che queste contestazioni hanno oltrepassato ogni limite, scendendo nel personale, coinvolgendo anche dei minori, degenerando nell’insinuazione e perfino nell’accusa di mafiosità». «In Calabria, è la triste verità, noi giornalisti – questo è il problema centrale che ha posto Morrone, al di là della vicenda personale – siamo ancora additati come servi del potere e non veniamo rispettati e tutelati: né come professionisti né come persone. Il principio, che più di qualcuno finge di ignorare, è che un giornalista che fa l’addetto stampa svolge un ruolo tecnico e, anche per legge, non esercita potere e non ha compiti gestionali. Ma qui, in Calabria, si è abituati a ritenere che se uno lavora in un ufficio stampa pubblico è perché ha portato voti o incensato qualche potente. Il merito non è considerato, come già avevo scritto altre volte».
Il giornalista ha poi ricordato d’aver proseguito, parallelamente all’incarico in questione, il suo impegno di approfondimento con il Corriere della Calabria. «Ho avuto la libertà di scrivere sul “mio” giornale, di raccontare senza limiti e censure – ha precisato – i problemi della Calabria; di affrontare temi scottanti con interviste a esponenti del centrosinistra come del centrodestra, non soltanto calabrese». «Quando scriviamo dei vizi del Palazzo oppure di ’ndrangheta, non va bene: ci dicono – ha aggiunto – che siamo dei visionari, che vogliamo far carriera o che scoraggiamo il turismo a danno dell’economia locale. In tal caso, veniamo additati come fanatici, professionisti dell’antimafia, populisti e nemici della democrazia. Quando, invece, facciamo comunicazione politica, siamo i servi di qualcuno, siamo additati come complici del potere, del sistema e della mafia». Morrone ha infine ricordato d’aver già subito avversione e isolamento a San Giovanni in Fiore, quando scrisse con Francesco Saverio Alessio il libro su ’ndrangheta e politica “La società sparente”. «Gran parte della politica locale – ha rammentato – negava a oltranza ogni traccia di ’ndrangheta nell’altopiano silano e noi fummo bersagliati per aver scritto e detto ciò che poi è emerso in sede processuale. Fummo costretti a subire vari processi penali, venendo sempre assolti». «È un assurdo che, dopo quattro anni di lavoro da addetto stampa, io debba rimetterci anche economicamente, dopo aver subito una marea di cattiverie e tentativi, anche recenti, di mettere in dubbio la mia reputazione professionale. Questo è inaccettabile e qualcuno, se c’è ancora una coscienza umana, dovrà prendere una posizione; dovrà schierarsi a favore del principio che ho espresso e che difendo; dovrà dire che qui è stata fatta politica – ha concluso Morrone – sulla pelle e sulla famiglia di un giornalista professionista, che non ha fatto altro che rispettare il contratto che aveva e che, pertanto, paradossalmente, deve pagare». (redazione@corrierecal.it)

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