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IL PERSONAGGIO

Giusy Versace: «A casa ho quindici paia di gambe, le mie erano bellissime ma ora non mi sento meno femminile»

La senatrice, atleta paralimpica e conduttrice tv intervistata dal Corsera: «Ai colloqui con le case di moda mi credevano una spia degli zii»

Pubblicato il: 02/01/2025 – 10:52
Giusy Versace: «A casa ho quindici paia di gambe, le mie erano bellissime ma ora non mi sento meno femminile»

«A Reggio Calabria, io e mio fratello eravamo gli unici della scuola con i genitori separati»: è un passaggio dell’intervista alla senatrice calabrese Giusy Versace pubblicata oggi dal Corriere della Sera. L’atleta paralimpica e conduttrice tv si racconta con toni intimisti e rivela tanti aspetti della sua vita: «Ai colloqui con le case di moda mi credevano una spia degli zii», racconta. A casa ha 15 paia di gambe: «Le cambio a seconda della circostanza. Ho quelle per i tacchi, per lo sport, per il mare. Avevo gambe bellissime, prima. Però, no, non mi sento meno femminile. Mi vesto in modo diverso, ma riesco ancora a fare uno stacco di gambe come la Parietti insegna. E poi, se voglio sentirmi più sexy, metto un push up».
Ma si parte dall’infanzia. «Un mio sogno era fare il pilota di aerei. Però il corso, dopo il diploma, costava tantissimo e io in quel periodo avevo litigato con mio padre. Non ci siamo rivolti la parola per un anno, non potevo certo chiedergli i soldi. Sono cresciuta con le Barbie e le macchinine, mio padre portava me e mio fratello a vedere le gare delle auto telecomandate. A 8 anni mi ha messa su un go-kart. Mentre le mie amiche la domenica sceglievano il pareo da abbinare al costume, io guardavo il Gran Premio in casa».

La fede, gli affetti, i primati

«Sono una donna di fede. E avendo visto la morte in faccia ho quasi paura di non avere tempo per fare tutto quello che vorrei», dice a Elvira Serra, firma del quotidiano di via Solferino. Sul rapporto con Antonio Magra, suo compagno da 15 anni – anche lui ha perso una gamba – non  nega «che questa cosa ci unisca. Mi ha corteggiato fino allo sfinimento. All’inizio non ne volevo sentir parlare: ma dove andiamo, che facciamo una gamba in due? Poi una mia amica mi ha fatto notare che lui non si poneva proprio il problema che io non avessi due gambe. È l’autore della mia vita. Dietro tutte le mie esperienze più importanti c’è lui, che ha sempre mille idee e non le realizza. Poi quando ci riesco io non si ingelosisce, è felice».
Poi un riferimento alla onlus Disabili No Limits, alla sfida dell’atletica, a Ballando con le stelle, il primo libro, Con la testa e con il cuore si va ovunque, in cui ha raccontato in modo crudo il giorno dell’incidente. «Ogni volta (Antonio, ndr) mi ha spronata dicendo che avrei potuto mandare un messaggio di inclusione» afferma Versace.
E i primati: «Sono stata la prima donna italiana a correre con doppia amputazione, la prima concorrente con disabilità di Ballando, la prima disabile a fare il Volo dell’Aquila dal campanile di San Marco al Carnevale di Venezia. Ma forse la cosa di cui sono più orgogliosa è essere riuscita a guidare di nuovo dopo l’incidente. Adesso vado pure in scooter, ho preso la patente nautica e non escludo di prendere il brevetto per volare».

L’incidente, i parenti, la politica

È ancora in contatto con Salvatore, l’operatore dell’Anas che si fermò a soccorrerla nel 2005? O Michele, il volontario del 118 che le tenne la mano fino all’arrivo dell’elisoccorso? le chiede l’intervistatrice. «Il 22 agosto di ogni anno – risponde Giusy Varsace – mando un messaggio con un cuore, una mia foto e un grazie a loro due e ai poliziotti che sono intervenuti. Nessun risarcimento mi restituirà le gambe. Quei soldi sono fermi per quando sarò vecchia. Ne ho usato una parte per fare del bene».
Sul rapporto con i cugini Santo e Donatella, ammette: «Forse da piccola avrei desiderato lavorare con loro, ma poi sono stata felice di essermi affermata nello stesso campo da sola, con le mie forze. Anzi, chiamarmi Versace è stato più un problema, perché molte aziende temevano che volessi fare spionaggio e mi scartavano a priori». Sullo zio Gianni racconta: «Avevo 20 anni quando è morto e non lo avevo frequentato molto, perché viveva già fuori. Ma quando ci vedevamo, magari a Natale, mi colpiva la naturalezza con cui passava dall’inglese con Madonna al dialetto con il padre». Mentre Santo «mi ha insegnato tutto quello che dovevo sapere per costruire la mia carriera. Poi, dopo l’incidente, mi è stato vicino come un padre» E Donatella? «Lei non la frequento, però è molto generosa con me. Mi veste sempre per le grandi occasioni. Anche per la tournée teatrale».
Da deputata a senatrice, dal rapporto con Berlusconi ieri e con Meloni oggi, non può mancare una domanda sulla politica: «Non sono ancora riuscita a far cambiare in modo significativo i livelli essenziali di assistenza, nei quali c’è un nomenclatore che non menziona le protesi e gli ausili di tecnologia avanzata anche per la pratica sportiva amatoriale. Però ho avuto un ruolo nel riconoscimento delle pari opportunità degli atleti paralimpici nei gruppi sportivi militari e corpi di Stato, e l’allora ministro dello Sport Spadafora, con un gesto di fair play, me lo ha riconosciuto».

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