Franco Piperno è andato via. Una mente brillante, una vita vissuta all’insegna della passione e delle contraddizioni. Della sua storia politica sappiamo quasi tutto, compreso l’ombra di Primavalle, l’eccidio in cui morirono bruciati due ragazzi figli di un esponente del Msi. È assai probabile che Franco abbia coperto i responsabili di quella strage dalla quale si dissociò ma rimase una delle tante impunità di anni affascinanti e allo stesso tempo terribili. Giudicare oggi sarebbe molto parziale. Di certo, Piperno apparteneva a una generazione di grandi potenzialità intellettuali che scelse l’antipolitica. Vicino a Giacomo Mancini, si adoperò insieme al Psi per tentare una soluzione politica dopo il sequestro Moro. Poi la latitanza in Canada, il ritorno in Italia, le esperienze da amministratore comunale con il leone socialista e con Eva Catizone. Beatificarlo sarebbe sbagliato così come negare il suo valore. Era un uomo di pensiero che aveva maturato la predisposizione a una pacificazione nazionale dopo gli anni del terrorismo. Molti uomini di allora avrebbero potuto arricchire la vita politica, tanti si persero e caddero nella trappola dell’odio reciproco. Era una stagione delle idee, che oggi sembra assai lontana e distante. Così come appare ancora distante un’analisi oggettiva che porti a recuperare partecipazione e impegno comune.
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