CATANZARO L’inchiesta “Ostro” della Distrettuale antimafia di Catanzaro avrebbe consentito di ricostruire anche la gestione della latitanza di Cosimo Damiano Gallace (cl. ’61), Antonio Gallace e Cosmo Leotta, tutti considerati «gravitanti nella cerchia della cosca Gallace» di Guardavalle. Il periodo di riferimento è quello dell’ordine di carcerazione emesso il 25 novembre del 2020 dalla Procura Generale presso la Corte d’Appello di Roma – dopo la pronuncia della Corte di Cassazione – che aveva di fatto confermato le condanne inflitte in secondo grado al termine del processo “Appia”. L’ordine di cattura non è ancora stato diffuso, dunque, quando Gallace inizia a contattare la sua cerchia ristretta. Attraverso un messaggio in chat, comunica di «essersi allontanato dalla propria abitazione» a Francesco Giorgi, finito ai domiciliari, con quest’ultimo che si sarebbe subito «messo a disposizione» pero ogni tipo di supporto. Poi, nella notte tra il 25 e il 26 novembre 2020, con una serie di messaggi del tipo «ci hanno salato!», comunicava di essere ufficialmente un latitante, raccogliendo in questo caso il sostegno di Domenico Vitale (cl. ’76), finito in carcere.
Gli inquirenti, grazie alla decrittazione delle chat di Sky ECC sono riusciti a ricostruire una sorta di cronologia degli eventi, fino alla cattura del boss avvenuta il 7 ottobre 2021. Ad esempio, già il 26 novembre, Gallace contatta Cosimo Sorgiovanni, finito in carcere, chiedendogli se avesse un posto per dimorare qualche giorno, chiedendo comunque un luogo «di persone legate al loro entourage». Sorgiovanni allora propone Caulonia perché a Monasterace erano in corso serrate battute dei Cacciatori di Calabria, alla ricerca sia di Gallace che di Cosmo Leotta. Recuperato, poi, un altro criptofonino, Gallace si sarebbe poi organizzato per reperire documenti falsi. Il gruppo attorno al boss si adopera di buon grado a reperire panni puliti, a trovargli un alloggio, per cercare anche soggetti a lui somiglianti per creare un documento falso e a metterlo anche in contatto con la compagna. Arriviamo al 7 febbraio 2021 quando, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Gallace anticipa la scelta di cambiare rifugio ad Ilario Comito, spostamento che doveva avvenire il giorno successivo, attorno alle 18.30, nei pressi della sede lavorativa della moglie di Domenico Vitale, nel Comune di Santa Caterina dello Ionio. Il piano di Gallace, inoltre, prevedeva un cambio di autovettura nel corso del suo trasferimento. In serata sarà lo stesso Cosimo Damiano Gallace a confermare lo spostamento, attraverso un messaggio inviato al fratello Antonio. Un altro spostamento avverrà il 20 febbraio, a Badolato. Poi il 5 marzo 2021, Gallace informava Domenico Vitale (cl. ’76) dell’esigenza di far spostare la famiglia. E, anche in questo caso, il clan si metteva a disposizione. Il latitante chiedeva a Domenico Vitale (cl. ’76) di attendere in un determinato posto la compagna per accompagnarla in un luogo non meglio indicato.
L’inchiesta, però, avrebbe messo in risalto quella che gli inquirenti definiscono una figura cruciale nella latitanza del capo cosca: Antonio Paparo – finito in carcere – e tutta la sua famiglia. Dal 22 febbraio al 7 ottobre 2021, infatti, avrebbero messo a disposizione del latitante un sito di non agevole individuazione.
Parliamo di un luogo che ha consentito al latitante di «proseguire in sicurezza e con tutti i comfort la latitanza», permettendogli in prospettiva anche di sottrarsi alla cattura per diversi anni. La “tana” di Gallace, infatti, era un appartamento posto all’interno di un impianto di calcestruzzo dove venivano custoditi autocarri e altri mezzi da lavoro, lontano dal centro abitato, protetto da un circuito di videosorveglianza che trasmetteva le immagini in tempo reale all’interno della cucina dell’appartamento, dotato di due diversi sistemi di allarme collegati a servizi di vigilanza, in cui era stato appositamente ideato e costruito un bunker nascosto dietro un mobile della camera da letto a cui si accedeva azionando un meccanismo di apertura.
Oltre a questi comfort, la famiglia Paparo avrebbe assicurato, a turno, la presenza di almeno un componente della famiglia «in modo da non lasciare mai il latitante completamente solo e per assicurargli assistenza». Inoltre, a richiesta del latitante, sarebbero avvenuto anche i trasferimenti della compagna e della figlia all’interno dell’impianto, «attraverso il loro trasporto, in orario serale, per mezzo di vetture, una delle quali sempre adibita a “staffetta”», incontrandosi, in luoghi concordati anche con gli altri sodali che, a loro volta, avrebbero garantito «il prelevamento e il trasporto della donna e della minore dal luogo di abitazione al luogo dell’appuntamento», rendendo inefficaci gli eventuali pedinamenti delle forze di polizia sui familiari del latitante. (g.curcio@corrierecal.it)
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