Cinque minuti per Moses all’ora di cena in rigorosa esclusiva da Bruno Vespa per chiudere il cerchio del rapimento di Sofia. E secondo tradizione poi il più desueto “Porta a Porta”, non più terza camera della Repubblica ma salotto della chiacchiera su quello che tutti dicono per capirne meglio e di più, si spera.
La rapitrice di Cosenza, l’architetto Rosa Vespa, in mano al rito sacerdotale televisivo di Bruno Vespa, cardinale dell’informazione generalista.
Moses parla. Gli avvocati difensori hanno compreso che il processo mediatico ha bisogno delle parole in italiano zoppicante ma autentiche del senegalese integrato in lunga convivenza calabrese. Ah gli avvocati, Garritano e Gallucci (che bei cognomi cosentinissimi) insultati sui social come orditori di oscuri complotti e difesi davanti al Tribunale dal presidente dell’Ordine degli avvocati Ornella Nucci nel corso di una protesta più generale dall’ordalia social che a volte nulla comprende e capisce al pari di certi ubriachi della cantine della mia infanzia. Idealmente davanti al Tribunale dove parlava Luigi Fera uno dei migliori avvocati d’Italia che con decine di colleghi ha dato a Cosenza giusta collocazione sui principi di Diritto. Quel Diritto che ormai sembra andare per lo storto, se anche la premier Meloni nelle sue contese politiche sbertuccia l’avvocato Luigi Li Gotti per aver garantito difesa al pentito Masino Buscetta. Quindi è chiaro che il pesce puzza dalla testa. Ancora regge il contrappeso dei magistrati che studiano le carte e le testimonianze e hanno liberato Moses non cadendo nell’effetto Barabba richiesto dai Maruzzo del Sud e dai Bepi del Nord, guai alla folla che chiede giustizia sommaria e somara cui purtroppo siamo costretti a dar ancora conto. State tranquilli Moses non scappa, è integrato a Cosenza. Stiano sereni il capogruppo della Lega in Veneto e l’alta boiarda pentastellata che per ottenere consenso sponsorizzano paura sociale sui social e in tv.
Vespa celebra ed officia con Moses e i suoi nuovi 5 minuti di notorietà. Vespa, direttore consumato, va dritto alla notizia condita dall’immagine della festa della nascita con Rosa che dice a futura memoria “ha la manina del papà”. Sì, Moses ha visto una pancia o quello che sembrava una pancia, non ha mai accompagnato Rosa dal medico, non è andato al parto e non ha accompagnato la moglie a vedere l’ecografia come tutti fanno. E’ andata proprio così. Moses ha creduto a Rosa in tutto e per tutto. Rassegnatevi ultrà del complotto ad ogni costo, sapientoni del vivere civile dentro casa, voi che avete cambiato pannolini, guardato in rassegna cartelle cliniche e che avete passato più tempo da Premaman e Chicco che al Bingo o alla sala Scommesse.
Moses l’uomo venuto dall’altrove ha trovato l’amore di una donna e per un lungo periodo della sua vita si è fidata di lei, sempre Rosa Vespa la solitaria che a madre, parenti, e al suo uomo è stata incapace di far comprendere prostrazione, abbattimento e colpa che una donna vive per una maternità che non arriva, che manca. E Rosa che ha studiato architettura ha architettato aspettative culturali e relazioni interpersonali false poggiate su quella pressione sociale che tutti conosciamo quando un figlio desiderato non arriva. Moses giudicato approssimativo, un po’ coglione, sicuramente colpevole da chi è razzista che in questi tempi di trumpismo non manca certo all’appello. Invece Moses era un uomo innamorato e che si fidava della sua donna. E quindi questa è anche una storia di matriarcato esercitato e che non potrà continuare. In Calabria dove le leggende e l’antropologia studiata ci hanno raccontato che Caulonia fu fondata dall’amazzone Cleta per dare sepoltura alla compagna Pentasilea mentre a Locri la fondazione si deve alle donne e agli schiavi che sconfissero i guerrieri spartani rovesciando la realtà sociale. Rosa Vespa ha rovesciato la realtà sociale. Voleva essere la Grande Madre ed invece è diventata solo la Grande dea di uno spettacolo.
Nei cinque minuti di Moses all’ora di cena davanti agli italiani anche un minuto d’imbarazzo sul fatto se ancora ama la sua compagna di cui si è troppo fidato. “Ci devo pensare” ha detto il senegalese diventato cosentino. Davanti a Vespa che le chiedeva della sua Rosa Vespa. Questa la cronaca. Io speravo che come in un romanzo di Nicola Misasi dicesse: “Rosa Vespa è mia, io l’amo”. Ma non è più tempo di briganti in Calabria. Forse solo di matriarcato.
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