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L’INCHIESTA

La “trappola” social per le donne georgiane: in Calabria senza documenti e costrette a fare le badanti

L’inchiesta della Procura di Crotone sui viaggi organizzati dalla Georgia al costo di 700 euro e i due italiani a capo del gruppo criminale

Pubblicato il: 30/01/2025 – 14:13
di Giorgio Curcio
La “trappola” social per le donne georgiane: in Calabria senza documenti e costrette a fare le badanti

CROTONE Un annuncio postato su Facebook relativo alla possibilità di poter lavorare in Italia. Un’esca, di fatto, per attirare in Italia – e in Calabria – donne di origine georgiana. È dalla denuncia presentata il 5 luglio del 2022 a dare impulso all’inchiesta che, all’alba di oggi, ha portato all’arresto di 9 persone. La donna agli agenti di Polizia della Questura di Crotone spiega tutti i dettagli: l’accordo con la titolare del profilo social, il viaggio a bordo di un minibus guidato da tale Otto insieme ad altre connazionali e l’arrivo in Calabria – risalente al 25 giugno – in un’abitazione a Botricello. È qui che – secondo il racconto della vittima – un’altra donna le avrebbe preso il suo passaporto, chiedendole il pagamento di 700 euro per le spese di viaggio. L’operazione, eseguita dagli agenti della Polizia di Crotone tra le province di Crotone e Catanzaro, è coordinata dalla Procura di Crotone.

L’inizio di un incubo

La donna agli agenti racconta di essere stata costretta a rimanere in una stanza dell’abitazione, insieme ad altre 10 donne tutte georgiane, sprovvista di documenti. In più era costretta a corrispondere l’ulteriore somma di 10 euro al giorno per l’alloggio e 2 euro a pasto e, come se non bastasse, dopo tre giorni sarebbe stata portata presso una famiglia di Cirò Marina per lavorare come badante. Per questo lavoro – sempre secondo la denuncia – le sarebbe stato corrisposto uno stipendio di 800 euro mensili, con la promessa che dopo tre mesi le sarebbe stato restituito il passaporto, previo il pagamento di ulteriori 300 euro. Una situazione insopportabile per la donna che ha così deciso di presentare denuncia.

Il reclutamento e le “safe house”

E i poliziotti hanno aperto un vaso di Pandora. Partendo dal profilo Facebook e dal numero di telefono fornito dalla denunciante, sono risaliti a Tamila Chavteishvili, la donna georgiana classe 1995 finita in manette e che, secondo quanto ricostruito, avrebbe favorito l’ingresso e la permanenza sul territorio italiano della donna e che veniva anche riconosciuta fotograficamente da quest’ultima. Le successive indagini e le intercettazioni hanno consentito poi di appurare il ruolo svolto da Chavleishvili anche nella gestione di un’abitazione a Botricello e di tutti gli altri soggetti coinvolti. Gli agenti hanno così ricostruito l’esistenza di un’associazione finalizzata alla commissione di un indeterminato numero di delitti di favoreggiamento all’ingresso e alla permanenza nel nostro paese di numerosi cittadini georgiani, «preordinati al reclutamento di manodopera da destinare a terzi in condizioni di sfruttamento».

Il gruppo criminale

Secondo quanto emerso dall’inchiesta coordinata dalla Procura di Crotone, infatti, al vertice dell’organizzazione ci sarebbe l’italiano Antonio Miletta (cl. ’52) di Petilia Policastro, finito in carcere. Sarebbe stato lui, infatti, a coordinare le attività delle tre sodali georgiane, Tamila Chavleishvili, Monika Daraselia (cl. ’95) e Maia Gulkhadarashvili (cl. ’86), tutti finiti in carcere. Queste ultime, poi, si sarebbero avvalse costantemente di alcuni “autisti’, Spartak Todua (cl. ’95), finito ai domiciliari insieme a Abesabmi Gogolishvili (cl. ’78), tutti georgiani e «con il compito di accompagnare le lavoratrici presso le famiglie richiedenti» o di condurre le donne appena giunte in Italia presso le abitazioni dei sodali: due a Botricello e una a Steccato di Cutro.

La “Oto tour” e l’impiego come badanti

Gli inquirenti hanno anche ricostruito i viaggi. Gli ingressi, infatti, sarebbero avvenuti sia con regolari voli aerei sia con minibus della società georgiana “Oto tour”, gestita in prima persona dall’autista Otari Rogua (cl. ’89) finiti ai domiciliari e che, a sua volta, «avrebbe promosso attraverso il sito della propria impresa le assunzioni per conto dell’associazione per delinquere». Nel corso dell’attività tecnica sono emersi, inoltre, i rapporti del sodalizio criminale con la “Marvan di Lucia Maria”, con il coinvolgimento di Maria Lucia (cl. ’72) finita anche lei ai domiciliari e della figlia le quali, seconde la ricostruzione accusatoria, per «soddisfare le richieste delle famiglie italiane che contattavano la ditta, si sarebbero avvalse delle prestazioni offerte da Antonio Miletta e degli altri membri del sodalizio» per reperire badanti da collocare presso i clienti della Marvan. (g.curcio@corrierecal.it)

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