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L’affiliazione, l’omicidio Munno e le armi. Il racconto di Randisi: «I De Stefano volevano portarmi dalla loro parte»

Il neo collaboratore di giustizia parla degli incontri tra Carmine De Stefano e Luigi Molinetti. «Mi vedevano come un gancio»

Pubblicato il: 31/01/2025 – 18:41
di Mariateresa Ripolo
L’affiliazione, l’omicidio Munno e le armi. Il racconto di Randisi: «I De Stefano volevano portarmi dalla loro parte»

REGGIO CALABRIA «Intendo superare gli errori del passato e voglio cambiare vita». Con queste motivazioni Antonino Randisi, classe ’89, spiega ai magistrati della Dda di Reggio Calabria le motivazioni che lo avrebbero spinto a iniziare a collaborare con la giustizia. E Randisi, conosciuto negli ambienti criminali anche come “Tilli Tollo”, “Diabolik” e “Secco”, nei verbali depositati nel fascicolo processuale dal procuratore aggiunto Walter Ignazzitto nel corso della prima udienza del processo “Gallicò“, parla degli incontri tra gli esponenti di spicco della ‘ndrangheta reggina, Carmine De Stefano e Luigi Molinetti «in cui sono stati affrontati temi diversi, ma sempre di ‘ndrangheta, ai quali hanno partecipato anche altri soggetti», e rivela di conoscere il nome dell’esecutore dell’omicidio di Paolo Munno. I verbali depositati sono costellati da omissis: lo è anche il racconto preceduto dalla frase «L’evento che ha cambiato la mia vita è avvenuto…».

Gli inizi e l’affiliazione

«Vengo da una famiglia umile, sin da giovane mi sono dedicato alla consumazione di piccoli reati, ma per lungo tempo non ho mai superato certi limiti nel mio percorso criminale», afferma Randisi che ha raccontato che di non essere stato «formalmente affiliato» per lungo tempo. Della sua affiliazione il neo collaboratore di giustizia racconta: «Sono stato fatto “sgarro” in occasione della trasferta a Reggio di cui v’è ampia traccia nel processo Malefix: più precisamente, quando insieme a Giorgio De Stefano siamo scesi a Reggio Calabria (e subito dopo siamo risaliti in Campania per incontrare Alfonso Molinetti). Siamo scesi da Milano con Giorgio De Stefano. A Napoli abbiamo noleggiato l’auto e siamo andati a Reggio Calabria. Ci siamo recati in un appartamento a rione Modena omissis. Siamo rimasti io e Giorgio De Stefano: poi è arrivato pure Carmine De Stefano. In quella circostanza Carmine mi ha conferito la dote della sgarro. Non so se è stata una procedura regolare secondo la tradizione di ‘ndrangheta, ma per me contava poco». E in un altro verbale, sempre parlando della sua affiliazione, Randisi aggiunge: «Ho capito che la mia affiliazione nell’appartamento di Rione Modena avvenne perché i De Stefano volevano portarmi dalla loro parte, in ragione del contestuale allontanamento di Luigi Molinetti. Essendo il nipote di quest’ultimo, mi vedevano come un gancio per mantenere un contatto ed evitare di recidere il legame o comunque per “aggiustare” la situazione. In qualche modo facevano un tentativo come quello fatto con Alfonso Molinetti l’ergastolano: anche con lui – che pure era fuori Reggio e più defilato – speravano di impedire che Luigi Molinetti si staccasse da loro».

L’omicidio Munno e le armi del clan

«So dell’omicidio di tale Paolo Munno. L’esecutore fu Giuseppe Molinetti, figlio di Luigi Molinetti e Ciccio Saraceno gli fece da palo. Venne utilizzata una pistola a tamburo», racconta randisi riferendosi all’omicidio di un pregiudicato ucciso ad Archi nel 2012 all’interno del circolo ricreativo che gestiva la vittima.
Considerato uomo di fiducia del boss Luigi Molinetti, detto la “Belva”, Randisi racconta inoltre di aver accompagnato Molinetti «per recuperare uno o più borsoni pieni di armi», per conto del quale afferma anche di aver detenuto una «9×21 glock».

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