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LA VICENDA

Il coraggio della libertà dei coniugi Grasso: la lotta contro la ‘ndrangheta e il prezzo per la legalità

La storia della coppia vibonese e l’esistenza segnata dai messaggi nell’ombra dei clan. L’appello: «Chi è dalla loro parte lo dica»

Pubblicato il: 07/02/2025 – 11:35
di Giorgio Curcio
Il coraggio della libertà dei coniugi Grasso: la lotta contro la ‘ndrangheta e il prezzo per la legalità

VIBO VALENTIA Tornare nella propria terra, a testa alta, dopo aver denunciato oltre un decennio fa, le minacce e le intimidazioni subite dalla criminalità organizzata locale. Una scelta di vita e di coraggio, ma anche di “normalità”. Quella da ritrovare nei luoghi di appartenenza, nella propria casa. Un percorso che presenta molti rischi e tanti ostacoli per chi ha scelto di opporsi con decisione ai soprusi della criminalità organizzata, diventando testimoni di giustizia, in una terra – la Calabria – segnata dalla piaga della ‘ndrangheta.  

La scelta di tornare e le minacce

Eppure, Giuseppe Grasso e Francesca Franzè non hanno mai esitato ed esercitato la loro libertà attraverso una scelta di vita ben definita, lontano dalle ombre e dai tentacoli della criminalità. Sono state anche le loro dichiarazioni a rafforzare il quadro accusatorio, nel corso di diversi processi, contro le feroci cosche di ‘ndrangheta del vibonese. Da “Breccia due” a “Odissea”, passando per “Purgatorio”, “Libra”, “Black Money” e “Rinascita Scott”.  Ma, come è facile immaginare, il prezzo della libertà e della legalità dei coniugi Grasso è stato finora salato. Il loro percorso di vita degli ultimi anni è stato declinato da una serie di episodi inquietanti ma significativi, di messaggi chiari sebbene immersi nell’ombra. Senza far perdere loro la speranza per una vita normale.

Gli episodi preoccupanti

L’ultimo, in ordine di tempo, è avvenuto la mattina del 9 gennaio scorso, quando i due hanno ritrovato morto il loro cane che custodivano nel giardino proprio accanto alla propria abitazione. È il terzo a subire la stessa sorte. Ma, in passato, la coppia aveva già subito episodi simili, alcuni realizzati da soggetti al momento ignoti, altri invece da persone conosciute e per le quali il loro avvocato, Rosalia Staropoli, ha già depositato querela. Episodi, prontamente denunciati alle forze dell’ordine, legati a doppio filo alla loro scelta di libertà, quella di diventare testimoni di giustizia e denunciare. Insomma, una chiara matrice mafiosa dietro atti vili perpetrati nei confronti di due persone che hanno mantenuto fedeltà al loro impegno di legalità. 

Il ritorno a casa e il «pericolo di morte»

Una vita affatto facile quella dei coniugi Grasso. Dopo le denunce, infatti, hanno vissuto per anni in alcune località protette, salvo poi tornare a casa per cause di forza maggiore, legate anche alle inadempienze riscontrate rispetto al trattamento che, invece, dovrebbe essere riservato ai testimoni di giustizia. «Si sono ritrovati in pericolo di morte dopo aver scelto di lasciare il programma di protezione» ci racconta il legale Staropoli. «Hanno denunciato dei boss di spicco della ‘ndrangheta di Limbadi, poi condannati, quindi il rischio c’è ancora». Ma la scelta di tornare a casa per i coniugi è stata più forte di tutto. «I due già in passato avevano denunciato di aver vissuto in posti poco adatti quindi la scelta di tornare a casa loro». A testa alta, certo, apprezzati e stimati dalla comunità “sana”, invisi invece a chi ha fatto scelte opposte e contro la legalità.

Il racconto e l’appello

Il racconto dei coniugi Grasso ha un retrogusto amaro e, a tratti, sconfortante, nonostante il messaggio di speranza che arriva dalla loro scelta di vita. Nella loro memoria è ancora vivido il ricordo di chi, molti anni fa, li ha ascoltati e aiutati per prima. «Dopo il trasferimento della pm Marisa Manzini da Vibo a Cosenza», hanno raccontato al Corriere della Calabria, «abbiamo perso un punto di riferimento importante subito dopo le nostre prime denunce e, soprattutto, nei momenti di maggiore difficoltà purtroppo mai più riscontrato negli anni successivi».
«È stata lei a mostrarci per prima vicinanza ben oltre il ruolo di pm, a livello umano oltre che professionale, per noi ma anche per tante altre persone nelle condizioni simili alle nostre e che avevano acquisito fiducia nello Stato per denunciare soprusi e angherie».
Alle dichiarazioni dei coniugi Grasso si aggiunge anche l’appello dell’avvocato Lia Staropoli: «Chi è dalla loro parte lo dica apertamente» ci dice, «a cominciare dalle associazioni antimafia». «Era una coppia di lavoratori come tutti gli altri, non ci sono imprenditori di “serie A” e di “serie B”». «Quella dei testimoni di giustizia deve essere una scelta che lo Stato deve tutelare fino in fondo», ci dice ancora l’avvocato, invocando una maggiore attenzione. La scelta dei coniugi di denunciare e diventare testimoni di giustizia è, soprattutto, l’esempio migliore per una Calabria che continua ad essere terra di conquista e martoriata dalla ‘ndrangheta. Una visione di speranza che non può, e non deve, essere offuscata. (g.curcio@corrierecal.it)

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