“Di aspetto severo, ma aperto e sincero, la figura alta e solenne come quella di un pino della Sila, destavano immediatamente simpatia e rispetto”. Parole che don Peppino Chiaravalloti è riuscito a scrivere dal letto d’ospedale prima di morire in modo da fornire la prefazione al libro di memorie in forma d’intervista che Saverio Zavettieri ha inteso lasciare a futura memoria con diversi passaggi che a molti risulteranno non graditi ma, conoscendo la schiettezza del politico socialista, formulati magari non a cuor leggero ma, a quanto pare, dotati di fondamento salvo smentite.
Nel profilo di Chiaravalloti forse stona la similitudine con “pino della Sila” considerati i suoi occhi da catanzarese, mentre meglio si sarebbe prestata l’allegoria con un albero dell’Aspromonte considerato il genius loci di Bova sulla Jonica reggina che ovviamente non manca nell’avvincente narrazione che per gli appassionati di materia – testimonio – si legge di un fiato.
Chiaravalloti racconta come conosce Zavettieri. Durante la campagna elettorale del 1996 quando il politico reggino sostiene la candidatura del magistrato garantista Nino Montera con il Partito radicale e lo accompagna in giro ad incontrare le toghe calabresi che ben si guardarono a differenza di Chiaravalloti di dar sostegno a tanta eretica presenza. Nasce un rapporto e una stima che consentirà in epoca difficile di far diventare assessore Zavattieri nella giunta di destra di Chiaravalloti in una vicenda paradigmatica della Calabria contemporanea.
Zavettieri è il socialista che si vede nella foto storica di Bettino Craxi in Parlamento mentre pronuncia il discorso del “tutti siamo colpevoli”, mentre Martelli e Formica e altri erano andati a Genova per il centenario del Psi in fuga dallo scontro in atto su Tangentopoli. È la storia di un quadro socialista che diventa segretario regionale della Cgil, pallino per la Programmazione curata con Claudio Signorile (sua la postfazione), deputato della Prima repubblica dal 1983 al 2004, e prima di diventare segretario nazionale del minuscolo nuovo Psi e sindaco della sua amata Bova soprattutto assessore con tutte le deleghe dell’economia culturale. Si era messo insieme alla destra calabrese come un naufrago che per far politica si aggrappa alla boa del campo avverso.
Centrale la data del 22 febbraio 2004 quando un killer tenta di uccidere Zavettieri in casa salvato da un vetro rinforzato alla finestra che impedisce al proiettile di diventare letale. Il quadro politico della maggioranza ha bradisismi tellurici con crisi che si succedono con continui cambi di assessori. Peppe Scopelliti è sindaco di Reggio, Pietro Fuda presidente della Provincia e combattono politicamente per estromettere Zavettieri dalla Giunta. Saverio non è utile ai giochi di Palazzo, rimasto senza uomini in Consiglio, e inoltre nemico conclamato della proliferazione dei clientelari monogruppi regionali. Chiaravalloti ogni settimana viene convocato a Roma a via della Scrofa e via dell’Umiltà per defenestrare Zavettieri, ma don Peppino, il quale ha deciso di lasciare a fine consiliatura, resiste sulla linea del Piave con orgoglio da vecchio galantuomo. Zavettieri a magistrati e carabinieri dirà senza remore da dove era arrivato il tragico comando. Il gip di Reggio Calabria archivierà il tutto. Giudiziariamente il tentato omicidio di Saverio Zavettieri è un mistero che si allinea al delitto Fortugno e a quello di Ligato. Di quella pista venne anche informato personalmente Silvio Berlusconi che disse a Zavettieri: “Gli altri non sono meglio”. L’inchiesta si arena, Zavettieri chiede di essere ascoltato dal procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, il quale era, secondo il politico, male orientato dal suo vice calabrese Enzo Macrì (molti i passaggi al vetriolo contro il magistrato e il fratello nel libro) e che decide di aprire un fascicolo che viene inviato al nuovo procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone “notoriamente vicino al centrodestra”, sottolinea il mancato morto ammazzato Saverio. Il fascicolo dell’inchiesta rimase fermo tre anni. Venne chiuso il giorno prima che Pignatone lasciasse Reggio Calabria per Roma con l’archiviazione. Questa la non verità giudiziaria.
Se questo è l’avvenimento chiave dell’inquietante vicenda il libro non manca di affrontare pieghe significative della politica calabrese. Esemplificative le pagelle che Zavettieri assegna ai più recenti governatori: «La giunta Nisticò è stata inconsistente, idem quella guidata da Caligiuri. Chiaravalloti non è riuscito a dare la svolta necessaria. A cambiare passo, come si pensava potesse fare. Agazio Loiero, tutto rappresentava tranne che una figura di rinnovamento. Da lui, vecchio Dc, anche se sostenuto dai poteri forti, sarebbe stato difficile aspettarsi qualcosa di più. Il monocolore di Mario Oliverio, dal mio punto di vista, ha dimostrato di non avere una visione. È stata, però, un’esperienza falcidiata dalla giustizia; o meglio, dal suo cattivo utilizzo. Questo non bisogna dimenticarlo».
Tante le questioni. Le più rilevanti ovviamente quando Zavettieri da assessore scombina giochi sulla collocazione della Cittadella e sui privati che entrano in Sorical a tutto loro vantaggio. Il politico denuncia anche il collateralismo che ci sarebbe stato tra il suo collega Aurelio Misiti e il leader dell’opposizione Nicola Adamo accusati da Zavettieri di aver fatto dirottare quattomila miliardi per infrastrutture verso la “progettazione di strade e opere poi mai realizzate”. Zavettieri contesta quelle scelte a viso aperto, rimane isolato “ma sempre assolutamente tranquillo”.
Verità di parte ma molto scomode. Come il rapporto con Giacomo Mancini, leader di riferimento socialista che entrava quasi sempre in rotta di collisione con chi esprimeva diversamente il suo autonomismo. Una storia lunga quando da sindacalista Zavettieri contesta le scelte industriali e viene attaccato dal Giornale di Calabria manciniano. Zavettieri contesta a Mancini di aver supportato le inchieste a Palmi di Agostino Cordova per opportunismo politico, storicizzando anche il giudizio negativo del guardasigilli Martelli, per poi riflettere: “Mancini capì sulla sua pelle, qualche anno dopo, cosa significa finire nelle grinfie e dei magistrati”. Sul processo di Palmi l’antagonista rimasto craxiano sostiene che Mancini qualche voto anomalo lo aveva ricevuto “ma da qui a renderlo organico alle cosche della ‘ndrangheta è assurdo”.
Due storie politiche che si dividono nel 1992 quando Mancini non è eletto in Parlamento e Zavettieri non manca il punto quando sostiene che il suo ex leader “colpì Craxi alle spalle, fornendo la prova al pool di Mani pulite, quale ex segretario del partito, che il principio del non poteva non sapere era fondato.”
Le domande di Francesco Kostner e la postfazione di Signorile rimarcano queste vicende insieme al ruolo che ebbero Luciano Violante, Marco Minniti e i magistrati Macrì organici al Pci nei safari giudiziari contro il forte Psi calabrese. Era il Psi primo partito della Sinistra alle regionali del 1990 che supera il Pci di 33.000 voti e che si conferma alle Politiche del 1992 quasi con lo stesso scarto contro il neonato Pds della Bolognina. Quando il Psi veniva escluso dalla Giunta per sospetta mafiosità a favore del Psdi di Paolo Romeo e Pino Tursi Prato “che non potevano annoverarsi tra i campioni antimafia del momento”. Zavettieri si premura di dichiararsi estraneo alla massoneria anche se la definisce “istituzione importante con principi e valori rispettabili”. Al netto di contesti torbidi e lotte omicide l’intervistato ci restituisce una testimonianza sulla Prima repubblica calabrese, periodo con rappresentati più capaci e preparati sul piano culturale e politico di adesso. Scriviamo questo non per nostalgia giovanile ma per oggettiva analisi. Leggete il libro intervista di Zavettieri e ne avrete riscontro. Il presente invece ci dice che a Cosenza sfrattano la statua di Giacomo Mancini e a Reggio oscurano l’epigrafe a Pasquino Crupi. (redazione@corrierecal.it)
“Battaglie di libertà tra politiche, istituzioni e lotte sociali”. Francesco Kostner dialoga con Saverio Zavettieri. Pellegrini editore (18 euro)
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