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Bergamini, l’appello della difesa di Internò: «Sentenza irrazionale e prove insufficienti»

«Iter motivazionale seguito dalla Corte d’Assise in spregio ai principi del nostro ordinamento processuale-penalistico». Chiesta l’assoluzione

Pubblicato il: 12/02/2025 – 15:18
Bergamini, l’appello della difesa di Internò: «Sentenza irrazionale e prove insufficienti»

COSENZA Dichiarazione di appello depositata. Angelo Pugliese e Rosanna Cribari, legali di Isabella Internò, condannata in primo grado a 16 anni di reclusione per la morte dell’ex calciatore del Cosenza Denis Bergamini (avvenuta a Roseto Capo Spulico il 18 novembre 1989), hanno prodotto richiesta di appello, con contestuali motivi avversi ai capi e ai punti della sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Cosenza lo scorso 1 ottobre 2024.
«L’iter motivazionale seguito dalla Corte di Assise – si legge nel documento di 556 pagine depositato dai legali dell’ex fidanzata di Bergamini – lascia perplessi atteso che, nonostante riconoscesse al punto 14 che “non v’è dubbio che il processo che occupa sia un processo indiziario”, il Giudicante ricostruiva il “mosaico” indiziario, cui viene fatto riferimento in sentenza, aderendo in toto alle prospettazioni unilaterali ed inquisitorie offerte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Castrovillari, e in spregio ai principi del nostro ordinamento processuale-penalistico riteneva sussistente la penale responsabilità dell’odierna appellante sulla scorta di mere presunzioni, idee, congetture proprie e forzature dei dati indiziari sprovvisti dei caratteri della gravità, precisione e concordanza, non attribuendo rilevanza, invece, a quegli elementi probatori favorevoli all’imputata offerti dall’istruttoria dibattimentale. Un “mosaico”, quello ricostruito dalla Corte d’Assise di Cosenza a senso unico, intrinseco della narrazione romanzata degli accadimenti di natura meramente inquisitoria, non dedicando tempo neppure alla confutazione degli elementi prospettati dalla difesa».

«Impostazione seguita dalla Corte di Assise che non può trovare luogo in un’aula di giustizia»

I legali di Internò parlano di «impostazione seguita dalla Corte di Assise che non può trovare luogo in un’aula di giustizia ove deve regnare il principio sancito all’art. 533 comma 1 c.p.p. secondo cui “il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio”». «La Corte di Assise di Cosenza – viene aggiunto – non basandosi sulle prove acquisite in dibattimento, ma secondo logiche del tutto inquisitorie riteneva sussistente la penale responsabilità dell’odierna appellante sulla scorta di mere probabilità, ipotesi proprie, valutazioni irrazionali, condannando la predetta per concorso in omicidio volontario pluriaggravato senza poter e soprattutto aver dimostrato le modalità dell’ipotetico omicidio, senza aver dimostrato quando venne perpetrata l’ipotesi delittuosa, senza aver dimostrato da chi venne compiuta la condotta, ma limitandosi ad ipotizzare che Isabella Internò, mandante dell’agguato, ingannava Donato Bergamini, portandolo in Roseto Capo Spulico (CS), dove lo attendevano i suoi fantomatici correi che nel tentativo di “dargli una lezione, un avvertimento incisivo alla vittima”, lo sopraffaranno fino a procurargli la morte e successivamente, lasciavano Isabella Internò sola in quel luogo buio per sparire nel nulla, senza lasciare alcuna traccia. In sentenza non veniva dedicata nemmeno una parola alle modalità della condotta. Si è tentato nei modi più disparati di descrivere il caso Bergamini come il delitto perfetto, delitto perfetto senza alcuna prova a carico. Perché la prova a discarico c’è e veniva superata in modo maldestro dal Giudicante secondo l’assunto: “secondo me Isabella Internò è colpevole e dunque, chi dice il contrario, asserisce il falso oppure a mio parere è ininfluente ai fini del decidere”».

«La sussistenza del dubbio avrebbe dovuto condurre la Corte ad un giudizio di assoluzione»

Secondo Pugliese e Cribari, «Il giudice a fronte di un compendio probatorio di natura indiziaria non può ricorrere ad une mera motivazione logica. Infatti, seppur gravi sul giudice l’obbligo di una motivazione logica del percorso argomentativo seguito senza che possa attribuirsi rilevanza alla ricorrenza di diverse ricostruzioni ancorché parimenti logiche, deve condividersi il principio ribadito anche di recente dalla Suprema Corte di Cassazione in base al quale la versione ricostruttiva prescelta, anche se conforme ai canoni della logica ordinaria, deve, pur sempre, essere aderente alla realtà processuale e porsi come precipua risultante di un processo di valutazione critica dei dati probatori ritualmente acquisiti, non potendo il ricorso alla logica ed all’intuizione in alcun modo supplire a carenze probatorie o ad inefficienze investigative, non potendo e non dovendo lasciare “zone d’ombra”».
«A parere della scrivente difesa – emerge ancora in un passaggio del documento – dalla valutazione complessiva della vicenda residuano forti dubbi sul ruolo dell’imputata, alla quale, certamente non può riconoscersi la natura di concorrente materiale, ma potrebbe essergli conferita la qualità di istigatore morale. Eppure, proprio la sussistenza del dubbio avrebbe dovuto condurre la Corte ad un giudizio di assoluzione poiché, come recita l’art. 533 c.p.p., la sentenza di condanna può essere pronunciata solo se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Infatti, il Giudice deve sempre seguire il principio in dubio pro-reo che, come un faro, illumina la via da percorrere nei casi probatoriamente oscuri, evitando il fatale pericolo di giungere a condanne ingiuste. Tale principio di natura garantista rappresenta una innegabile tutela per l’individuo in materia penale e conferisce linfa vitale all’effettività di un altro principio proprio dei sistemi giuridici moderni, il favor libertatis. La Corte d’Assise di Cosenza, nell’irrogare la sentenza di condanna, confondeva il linguaggio della morale, dell’etica e del diritto. Il diritto, pur se ontologicamente influenzato dal contesto socioculturale del momento, è cosa distinta ed altra rispetto alla morale. Tuttavia, la responsabilità penale si basa su altri presupposti rispetto alla morale: in questo caso, sull’accertamento della sussistenza degli addebiti di fatto contestati all’imputato, e quindi sulla valutazione della loro incidenza “sinergica” sul fatto-reato, e non sulla riprovevolezza morale della condotta dell’imputato. Pertanto, in ragione di quanto sopra rappresentato, non sussistendo il dolo omicidiario nel caso di specie, non avendo fornita prova della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato, Voglia questa Ecc.ma Corte ai sensi dell’art. 531 c.p.p., previa riqualificazione del fatto contestato nell’ipotesi di cui all’art. 584 c.p., dichiarare estinto il reato per intervenuta prescrizione».

Le richieste

In chiusura i legali di Internò chiedo alla Corte d’Appello di Catanzaro di pronunciare, in via preliminare, «declaratoria di nullità del giudizio di primo grado e della sentenza n. 05/2024 R. Sent. ai sensi dell’art. 178 comma 1 c.p.p. e art. 179 c.p.p. per violazione dell’art. 31 della Legge n. 287 del 10 aprile 1951, artt. 33 – 35 c.p.p., artt. 24 e 111 Cost. e art. 6 CEDU, declaratoria di nullità del decreto di riapertura delle indagini preliminari ex art. 414 c.p.p. per violazione del combinato disposto degli art. 111 comma 6 cost., art. 414 c.p.p. e 125 c.p.p. nonché rinnovare l’istruttoria dibattimentale ex art. 603 c.p.p. In via principale, in riforma dell’impugnata sentenza, Voglia la Ecc.ma Corte di Assise di Appello di Catanzaro pronunciare sentenza di assoluzione ex art. 530, comma 1, c.p.p. perché il fatto non sussiste e/o l’imputata non lo ha commesso. In via subordinata, si chiede la pronuncia di una sentenza di assoluzione ex art. 530, comma 2, c.p.p. perché manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste e/o che l’imputata lo ha commesso. In via ulteriormente subordinata, declaratoria di estinzione del reato ex art. 531 c.p.p. per intervenuta prescrizione previa riqualificazione del fatto contestato in omicidio preterintenzionale ex art. 584 c.p. Infine, qualora le prospettazioni difensive non dovessero trovare accoglimento, si chiede rideterminazione della pena previa esclusione delle circostanze aggravanti dei motivi abietti o futili e della premeditazione». (f.v.)

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