ROMA La trasformazione del dolore in una forma di impegno sociale. Alla base la volontà di compiere «un atto di amore» e al contempo lanciare un messaggio ai tanti familiari delle vittime innocenti delle mafie: «Possiamo e dobbiamo farcela. La fragilità può essere trasformata in altro». Il messaggio è quello di Doris Lo Moro, ex parlamentare, assessore regionale, magistrato e già sindaco di Lamezia Terme, ed contenuto nel suo libro “Forte come il dolore. Un caso di giustizia negata”, presentato a Roma a Palazzo Grazioli.
Nel libro, edito da Grafichè e che ha una prefazione dell’ex presidente della Camera dei deputati, Luciano Violante, Doris Lo Moro racconta della tragica perdita del padre, Giuseppe Lo Moro e del fratello, Giovanni, assassinati nel 1985 in un contesto di violenza mafiosa a Filadelfia, nel Vibonese. Un caso di «giustizia negata» perché rimasto senza colpevoli. «E’ un libro molto coraggioso, che parla di uno Stato che tradisce, ma se ne parla per costruire, non per distruggere. È un atto di rispetto, non è una denuncia fine a se stessa», ha spiegato nel corso del suo intervento Anna Finocchiaro, presidente di “italiadecide”. «Doris Lo Moro – ha aggiunto – ha dimostrato di aver saputo accettare a testa alta il dolore di qualcosa di imposto, è una cosa difficilissima».
Lo ha descritto come «un libro che parla di vita e di morte, ma soprattutto di vita», Fabio Pinelli, vice presidente Csm: «Un libro che entra nelle viscere delle vicende umane». E sul «mistero» della vicenda giudiziaria, Pinelli ha parlato di «analisi lucida» che fa trasparire «fede nelle istituzioni» di una «donna delle istituzioni». «Lo Moro mantiene saldo il senso che le istituzioni siano sane e lo trasforma in impegno civile».
“Forte come il dolore” racconta di un dolore difficile da spiegare, trasformato in un impegno tangibile. «Questo – spiega Lo Moro ai microfoni del Corriere della Calabria – è il senso di questo libro, un libro in cui la mia vita e la mia tragedia personale, la tragedia della mia famiglia, è un pretesto, un’occasione per parlare di tanti dolori, perché le vittime sono tante, sono ovunque, e della necessità che la società, oltre che la magistratura, faccia i conti col fatto che negare giustizia, negare la verità, è un atto di violenza così come l’omicidio. Non è la stessa cosa, ma è un atto altrettanto pesante». E la scelta di raccontare la propria tragedia personale diventa «un atto di amore», «per la mia famiglia – spiega Lo Moro – e soprattutto per la famiglia del futuro, i miei nipoti un domani dovranno leggere questo libro. I miei nipoti come i nipoti delle altre vittime. C’è un amore che deve accomunarci, una tensione, un senso etico. Io sono molto vicina alle altre vittime e soprattutto lo sono alle tante vittime che quasi hanno bloccato la loro esistenza al momento della tragedia». Per loro il messaggio: «Ce la possiamo fare». Un impegno civile e politico, quello di Lo Moro, destinato a continuare: «E’ possibile, oggi è possibile. Quando ho scritto questo libro non lo pensavo».
Ai nostri microfoni Luciano Violante, presidente di “Futuri possibili, Associazione per la formazione del Capitale Umano”, ha spiegato: «Sono stati 40 anni di dolore. Doris non è stata chiusa in se stessa, ma ha ritenuto che fosse giunto il momento di manifestare un impegno, un impegno come lei stessa ha detto per le vittime, perché nessuna vittima si senta sola, perché nessuna vittima si senta sconfitta. Credo che questo sia il messaggio». E sul tema dell’ingiustizia subita dalla famiglia Lo Moro, Violante ha spiegato: «Le ingiustizie sono costruite, non nascono a caso. C’è una macchina dell’ingiustizia che si muove in questo quadro e tuttavia Doris, sia per il suo impegno istituzionale come magistrato, come sindaco, come amministratore, come politico, ha sempre manifestato una grande fiducia nella giustizia, perché è vero che ci sono cose che non vanno, e quelle vanno denunciate certamente, ma non è quello il segno complessivo della giustizia, il segno complessivo è tutto un altro, e questo è messo bene in luce nel libro».
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