COSENZA «Non abbiamo bisogno di panchine rosse, eventi istituzionali vuoti, cene a tema passerelle politiche o mimose. Non vogliamo simboli e dichiarazioni ipocrite: vogliamo spazi, diritti reali e libertà. Scenderemo in piazza perché in questa città per le donne e le soggettività marginalizzate non c’è spazio. Le strade, le piazze, i trasporti pubblici e gli tutti gli spazi della città sono progettati da chi non vive sulla propria pelle la paura di attraversarli. Siamo costrette a calcolare i percorsi, a evitare certi orari, a muoverci con mille attenzioni per non essere molestate, per non essere seguite, per non essere aggredite e a volte non è sufficiente. Non c’è spazio per i percorsi di fuoriuscita dalla violenza di genere: La precarietà che sta vivendo il Centro Antiviolenza Roberta Lanzino è la prova lampante di quanto poco valgano, per le istituzioni, i luoghi che proteggono le donne. Non c’è spazio per chi ha bisogno di una casa: Le occupazioni abitative vengono criminalizzate e sgomberate, ma chi è senza un tetto non viene considerato dalle politiche locali e nazionali. Le donne, le famiglie, le soggettività più fragili vengono lasciate sole in condizioni di precarietà estrema.
Non c’è spazio nel mondo del lavoro: Siamo sempre più precarie, più sfruttate, più sottopagate. Se scegliamo di essere madri, veniamo penalizzate. Se non lo scegliamo, veniamo giudicate. La nostra carriera vale meno, il nostro lavoro di cura è dato per scontato, la nostra fatica è invisibile.
Non c’è spazio nella sanità: I consultori sono depotenziati, l’obiezione di coscienza rende l’accesso all’aborto un percorso ad ostacoli, la medicina di genere completamente ignorata. La nostra salute non è una priorità. E mentre tutto questo accade, ci chiedono di sorridere e accettare una mimosa. L’8 marzo attraverseremo la città in corteo per renderci visibili, noi esistiamo e non abbiamo più intenzione di adattarci e arrancare. Le istituzioni e l’intera società contano sulla rassegnazione, sul silenzio, sulla convinzione che tanto nulla cambierà. Ma il silenzio è complicità. Il silenzio permette alla violenza di proliferare, all’ingiustizia di diventare la norma e mina la nostra libertà. Non vogliamo celebrazioni, vogliamo che la città si schieri. Vogliamo vedere corpi e voci che riempiono le strade, vogliamo che il nostro grido diventi collettivo».
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