Uno scambio epistolare tra un ingegnere campano e l’antropologo Vito Teti, nel segno della restanza.
“Gentile Professor Teti, Mi chiamo Paolo Tommasino, sono un ingegnere biomedico originario di Falciano del Massico in provincia di Caserta. Dopo diversi anni all’estero, e in seguito alla pandemia, ho deciso di ritornare a “casa” alla ricerca di un nuovo me e di “un nuovo senso dell’abitare” le persone ed i luoghi di origine. Nel Marzo 2022 ho acquistato una proprietà, vittima della “partanza”, a Valogno di Sessa Aurunca, un piccolo borgo, 80 persone, me incluso. Sogno di creare un orto botanico, un bioparco, che metta insieme le parole: bioingegneria, arte e natura. Ma io, prima del 2022, non avevo mai piantato nemmeno un pomodoro. Ho scoperto il suo libro la scorsa estate. L’ho scoperto forse, nel periodo più brutto del “progetto”, quando sconforto e momenti difficili sembrano volerti per forza convincere che “era meglio prima”, “che non hai la forza e la capacità di affrontare una tale sfida”. Quando i miei genitori e persone vicine continuavano a “darmi del pazzo”. Sono riuscito a “riemergere” leggendo il suo libro, visionario e rivoluzionario. Le sarò per sempre grato per aver saputo descrivere quanto sentivo ma che non riuscivo ad esprimere nei confronti di chi mi riteneva un “folle”, appunto. Solo da questa estate, dopo quasi un triennio di duro lavoro, ho iniziato a promuovere il progetto: i “Giardini La Restanza”, in collaborazione anche con la Pro Loco “Valogno Nostro”, Valogno Borgo d’Arte ed altre associazioni locali. Tutto questo per dirle che mi farebbe tanto piacere poterla conoscere di persona, raccontarle del progetto, invitarla a visitare i Giardini, Valogno, Sessa Aurunca e Falciano del Massico. Ma soprattutto, sarebbe un vero onore se la potessimo ospitare per promuovere il suo libro e la restanza. Io, nel mio piccolo, ce la sto mettendo tutta. Nella speranza di poterla leggere ed incontrare presto, le auguro una buona serata. Grazie!Paolo Tommasino PS qui trova qualche info in più sul progetto “Giardini La Restanza”.
Caro Paolo, grazie di questa tua mail, che mi ha molto toccato e mi fa molto pensare, che pubblico, dopo avertene chiesto il permesso. Non commento, non ne vado il bisogno, quanto scrivi, cosa sei riuscito ad inventarti, tornando a “casa” per costruire una nuova forma dell’abitare. Ricevo tantissime lettere, per me belle e emozionanti, come la tua. Giovani, ragazze, laureate, ricercatori, meridionali che vivono fuori, artisti, cineasti, fotografi, da quando è uscita la restanza, mi scrivono mail, lettere, commenti simili al tuo scritto. La “restanza”, in molti casi, ha alimentato scelte pratiche, a favorito ritorni, a fatto scoprire un nuovo senso dell’abitare a tante persone rimaste e partite. Devo dirlo: sono centinaia e centinaia (non esagero) gli inviti che ricevo da Associazioni, gruppi, Amministratori, Festival, librerie di tutta Italia, che mi invitano per presentare il mio “piccolo” libro. Spesse volte mi vengono chiesti “consigli”, suggerimenti, da persone non più giovanissime se “tornare a casa” o restare nel posto in cui hanno, comunque, una loro vita, famiglia, un lavoro anche importante. A volte mi sento “responsabile”, non all’altezza di rispondere – naturalmente evito di dire a qualcuno cosa deve fare: la scelta è sua – , sempre mi sento coinvolto e mi domando come è perché, senza volerlo, questo libro è diventato una specie di “manifesto”, di vademecum, di guida al senso dei luoghi, di occasione per riflettere. Un piccolo libro, tra antropologia e memoria, riflessioni e meditazioni, ha avuto un forte impatto a livello concreto, pratico, politico, anche al di là delle tantissime copie vendute, delle tante recensioni, delle mille mail, delle citazioni nei Dizionari, nei film, nei documentari, nei libri. Un mio cruccio è non riuscire ad andare, per ovvie ragioni di tempo, anche per difficoltà di spostarmi, in tutti i posti, nei piccoli paesi, nei centri urbani, nelle città del Nord e del Sud, delle Isole, in cui vengo invitato, per poter capire meglio, dialogare, conoscere altre realtà, per verificare che la “restanza”, al di là del mio libro, era un sentimento nell’aria, un bisogno avvertito e diffuso, un termine che ha dato un nome a un crogiolo di emozioni, affetti, inquietudini, indecisioni, lacerazioni di tantissime persone partite o rimaste. Come capirai, non intendo certo, abbandonarmi ad autocelebrazioni o autoesaltazioni di autore – di cosa potrei giore in questo mondo irriconoscibile, a rischio, che non può essere più letto e compreso con le vecchie categorie? Di cosa potrei gioire davanti a paesi che si spopolano, a giovani che continuano a fuggire, a figli che, come i padri, vanno via perché non hanno lavoro, servizi, possibilità di affermare le loro enormi potenzialità? – ma scrivo perché sono convinto che la “restanza” (il restare, il tornare) non abbia a che fare con un mio sentimento molto intimo (anzi sono più le volte che vorrei andare via, viaggiare ecc,) ma va assumendo, non solo in Italia, ma anche in paesi anglosassoni, in Grecia, in Belgio – una connotazione politica, una valenza sovversiva, una forma di contrasto al vuoto, allo spopolamento, ai potenti che ci vogliono cacciare fuori dai luoghi in cui siamo nati, a etnocidi silenti, di lunga durata o proclamati (quanto Trump immagina per Gaza e i palestinesi è l’espressione più delirante e drammatica di quanti odiano chi vuole “restare). Se sconto di passare come “peccatore” di orgoglio (ma anche non riconoscere i propri meriti è un grande peccato) è perché lettere come la tua sono la risposta anche a qualche distratto “osservatore” che confondeva la “restanza”, una scelta etica, politica, d’amore, quasi come un privilegio individuale (ignorando di quanta fatica, dolore sia fatto il restare in luoghi dove a volte manca tutto) e anche per dire a qualche amico che ha pensato che la “restanza” fosse “pericolosa” per il Sud, di aprire gli occhi, di seguire i gruppi che si chiamano Restanza, Cammini della Restanza, Giardini della Restanza, Musei della Restanza, Nun si parti ecc. e pensare che questi movimenti culturali, collettivi, “apartitici”, ma fortemente “politici” sono forse l’ultima occasione per impedire la desertificazione del Sud). Certo, chi pensa che la restanza sia uno slogan, una moda, un gadget, sta pensando all’ennesima manipolazione dei giovani e dei luoghi delle aree interne. E chi pensa che “restare” sia la scelta di qualche sfaticato, che attende un sussidio, deve pure finalmente capire che questa “passione” e “fatica”, anche amore scomodo, del restare, è animato da ragazze laureate, da tecnici, ingegneri, professionisti, persone che tornano alla Terra, a Gaia, da un ingegnere biomedico, come te, che scegli di costruire, in un luogo in cui è tornato, dove deve partire da zero, un orto botanico, I Giardini della Restanza, i giardini della bellezza, delle rigenerazione, dei nuovi frutti. Per questo, penso, che sono io, siamo noi, a dovere essere grati a te, a prenderti come uno dei tanti benefattori delle nostre terre. Per conto mio, non posso fare altro che cercare di venire a trovarti per ascoltare, dialogare, apprendere e sentirmi in compagnia.
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