Con il rito dell’imposizione delle ceneri inizia il periodo della Quaresima. Tre sono le caratteristiche fondamentali che accompagnano il credente: il digiuno, la preghiera, la carità fraterna. Uno dei testi che risuonano spesso in questo tempo è quello che troviamo al cap. 58 del profeta Isaia: «Questo è il digiuno che io voglio, sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi, spezzare ogni giogo, dividere il pane con l’affamato, ospitare in casa i miserabili che sono senza tetto, vestire chi vedi nudo, non distogliere gli occhi da quelli della tua carne». Di per sé, l’astinenza dal cibo per finalità meramente rituali accomuna diverse religioni. Tra tutte ricordiamo il Ramadan considerato per l’Islam una delle “cinque colonne” che fondano la fede. Come ci ricorda la nota pastorale della CEI, Il senso cristiano del digiuno «la mortificazione non è mai fine a se stessa né si configura come semplice strumento di controllo di sé». Bisogna evitare quanto più possibile di cadere nella trappola, come accadeva sovente nel popolo eletto, di servirsi dei riti religiosi per finalità proprie con l’unico scopo di renderci più forti o capaci di raggiungere determinati obbiettivi, come quello di far conciliare la Quaresima con un salutare periodo di digiuno. Dal sacro Testo, riceviamo molte notizie che riguardavano Israele e di come spesso i profeti erano costretti a denunciare una sorta di scisma tra il rituale dei sacrifici e la sacralità dei poveri e dei bisognosi in genere. Accade sotto i nostri occhi in questo difficile periodo della storia della nostra umanità, di veder sacrificati i diritti di intere popolazioni che soffrono il dramma della guerra di invasione o di distruzione come gli ucraini e i palestinesi della striscia di Gaza, dal parte della “religione capitalista” – che ha come “tempio” la borsa in nome di un non meglio identificato dio. A questi nuovi guru del neo capitalismo fatto di dazi e di statue d’oro, che in nome di una pace da raggiungere non certo per custodire popoli in difficoltà ma per difendere i propri interessi nazionalistici, dovremmo ricordare ciò che papa Giovanni XIII, scriveva nella Pacem in terris, prima enciclica sociale indirizzata a tutti gli uomini di buona volontà a prescindere dal loro credo religioso: “la pace non è mera assenza di guerra”. Il percorso verso una vera pace richiede molto di più: è sforzo comune, di tutti e di ciascuno, è frutto di un’ altrettanto vera giustizia sociale, non può essere imposta o calata dall’alto per motivi nazionalistici. Guardo con preoccupazione questa vecchia e poco saggia Europa che non sa fare altro, per coprire i propri fallimenti di politica estera che tornare ad una folle corsa agli armamenti, come se le armi possano garantire la pace. Profeticamente padre Ernesto Balducci, sosteneva che “la pace nasce anzitutto, da un profondo realismo, da una forte presa di coscienza del limite invalicabile nel quale l’umanità si è spinta con Hiroshima e Nagasaki. Dopo di allora, l’umanità sa di essere mortale e nessuno può salvarsi”. Difendere “gli interessi dell’umanità piuttosto che quelli della tribù a cui ognuno di noi appartiene” diceva Balducci (compresa quella del neo-pacifismo capitalista aggiungo io) è una scelta non di utopisti sognatori ma di persone che nel realismo della vita “forzano l’aurora a nascere”. Queste parole, poeticamente, rappresentano un forte impulso a un impegno civile onde evitare una sicurezza e una pace che prescindano dai diritti inviolabili delle persone e dalla vera pace fra i popoli. (redazione@corrierecal.it)
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