Klaus Davi, massmediologo, giornalista e imprenditore della comunicazione, da anni si occupa di criminalità organizzata e racconto del Sud. Già consigliere comunale di San Luca, ci spiega perché vuole ancora candidarsi a sindaco di questo paese del Reggino. «San Luca è tabuizzato», dice, accusando il ministero dell’Interno di doppiopesismo rispetto ad altri Comuni a rischio di infiltrazioni mafiose. Il giornalista si scaglia contro il possibile scioglimento del Comune di San Luca, definisce le relazioni prefettizie ormai «poco attendibili» e critica il moralismo generale sul paese. «La sfida – rilancia – è tirare fuori quello che c’è di buono». In questa intervista al Corriere della Calabria, affronta anche il tema del rapporto tra criminalità, politica e giustizia, di cui offre una lettura chiara e provocatoria. «In Calabria – osserva l’intervistato – si è fatto i conti con la zona grigia, a Milano no». Davi espone anche le sue proposte concrete: il rilancio della Fondazione Corrado Alvaro, il miglioramento delle infrastrutture locali e la valorizzazione dell’identità del territorio. «San Luca è una vetrina internazionale», afferma, spiegando che l’unico modo per cambiare la narrazione dominante è costruire alternative credibili.
Perché vuoi candidarti per sindaco di San Luca?
«Per me è la seconda volta. Il Comune è tabuizzato e c’è ancora questa storia dell’imminente scioglimento: non si capisce bene quali relazioni la Prefettura abbia mandato. Riguardo a San Luca, colpiscono le manfrine incredibili che stiamo vedendo. Invece, per esempio, l’ex capo della polizia, Franco Gabrielli, ha detto che non hanno sciolto il Comune di Roma, che andava sciolto perché pieno di mafia, in quanto sarebbe crollato il Pil. Capisci il livello di queste di queste relazioni sulla situazione dei Comuni? Ormai sono poco attendibili, e tutto questo moralismo su San Luca mi ha profondamente indignato».
Due pesi e due misure?
«Sì. Tra l’altro mi ha ancor più indignato l’aver visto mano leggerissima, per non dire inesistente, con Reggio Calabria e con Bari. Al contrario, adesso devono fare i choosy con San Luca. Allora ho pensato di rimettermi in gioco per San Luca, dove avevo già fatto il consigliere comunale. È un paese che conosco bene. Poi c’è stata la bella notizia della Commissione Antimafia (pronta a candidare qualcuno dei suoi membri, se per le Comunali di San Luca non verranno presentate liste, nda). Ancora non si è capito che cosa il ministero farà riguardo a San Luca, però è stato un segnale importante e più responsabile di quello dell’Interno, che invece sembra voler infierire su questa povera terra».
Che cosa bisogna fare a San Luca?
«Lì feci il consigliere comunale, poi dovetti lasciare per legge, per via della candidatura a Reggio Calabria. San Luca ha bisogno di una buona amministrazione operativa, tenendo conto che i piccoli Comuni hanno grossi problemi di personale: devono dividersi i segretari, hanno carenze di organico eccetera eccetera. Quindi ci sono problemi di base, problemi amministrativi molti importanti che vanno gestiti. Però San Luca ha grandi potenzialità: è una grande vetrina, nel senso che è una vetrina di interesse, per cui le istituzioni non possono stare a guardare. È un Comune dove lo Stato si deve misurare. Allora per San Luca occorre attirare l’attenzione delle istituzioni affinché ci siano sostegni per il territorio, quindi la scuola, quindi la Fondazione Alvaro, la strada di Polsi eccetera. Tutte cose necessarie per far evolvere il territorio».
Che cosa rappresenta, per te, San Luca, che molti legano alla potenza della ’ndrangheta?
«A San Luca vivono di una narrazione esterna, anche giornalistica, anche giudiziaria: moli di ordinanze e di articoli di giornali ne parlano, e c’è tanta gente che racconta il paese senza averci messo piede una sola volta. Esiste una narrativa a senso unico, insomma. Quindi, è un Comune che la subisce. La sfida, invece, è tirare fuori quello che c’è di buono. Questa è la sfida, perché è assurdo che San Luca sia il Comune più raccontato d’Italia ma da gente che non c’è mai stata».
Per esempio?
«Un giornale di Milano, senza farne il nome, ha scritto che, dopo il ritrovamento del corpo di Strangio (Antonio, nda), i ragazzi non andarono a scuola. È un falso totale. Capisci, un giornale importante di Milano ha scritto una roba del genere, ma non è vero. Gli inquirenti, magari in buona fede, dicono questo e quelli scrivono. Non funziona così. Parli con una persona che ha incontrato, i Nitta, gli Strangio, i Pelle. Li conosco tutti, non sto negando i problemi, loro sono là. Però la mia è una sfida amministrativa e anche narrativa, poi bisogna amministrarlo il Comune».
Con chi governeresti a San Luca?
«Sicuramente c’è bisogno di qualche professionista di lì che venga in campo. Altrimenti facciamo sempre quelli del “vai avanti tu che mi vien da ridere”. E poi serve qualcuno della Calabria, qualche calabrese che vive fuori dalla regione; qualcuno si è già fatto avanti. Poi ci vuole qualcuno che non sia calabrese ma che ami la Calabria. Insomma, occorre qualcuno del posto e qualcuno di fuori che diano una mano».
Ma non è detto che si vada a votare.
«Certo. Sai, quando c’è questo gioco sinistro dello Stato, è tutto complicato: dopo le vicende di Bari e Reggio Calabria, non è stata avviata un’analisi da parte del ministero dell’Interno. A questo punto, capisci che su queste contraddizioni sono critico, ma un segnale importante è arrivato dalla Commissione Antimafia, che di fatto vorrebbe le elezioni a San Luca. Guarda, non ci siamo parlati con la Colosimo (presidente della Commissione bicamerale Antimafia, nda), non ci siamo sentiti. Ma, facendo questo passo forte, lei ha condiviso in pieno la mia visione. Sennò non l’avrebbe fatto».
Corrado Alvaro, che era di San Luca, scrisse che «il problema della società calabrese è un problema di lealtà… di creare un’atmosfera di collaborazione con i poteri centrali». Secondo te, esiste in Calabria questa atmosfera di collaborazione?
«Il ministero dell’Interno mantiene l’approccio di cui ho detto. È un modo per allontanare la popolazione; quantomeno andrebbero cambiate le norme. Comunque, al di là di questo, secondo me tutti vogliono aiutare San Luca: Regione, ministro eccetera. Allora bisogna andare lì con delle buone proposte, andare lì in modo credibile. Ma tutti vogliono aiutare San Luca. Poi, secondo te, se io vado dal ministro Giuli e gli dico che la Fondazione Alvaro va sostenuta, lui non lo fa? Se vado dal presidente Occhiuto, che si è già impegnato per la strada di Polsi, secondo te, non mi ascolta? Alla fine, un amministratore deve difendere il territorio, deve tenere il più possibile al proprio territorio».
E tu come vorresti muoverti?
«Io punto anche molto su San Luca: è un marchio internazionale nel male, ma bisogna trasformarlo nel bene. Per esempio, a proposito di San Luca, tu sai che in Calabria, a Pizzo Calabro, Benedetto Musolino, fondò il sionismo, e fu tra l’altro un patriota di sinistra? Io vorrei creare a San Luca un centro studi dedicato a Musolino, magari facendo un gemellaggio con un Comune dello Stato di Israele. Quindi vorrei lavorare pure a progetti internazionali e insieme tenere conto degli asset della Calabria, che ci sono».
E poi?
«San Luca è una grandissima vetrina. Poi c’è la produzione agroalimentare. E c’è il calcio, che è abbandonato. Pensa che lì i ragazzi non possono
andare allo stadio. Il commissario prefettizio dovrebbe impegnarsi a sbloccare questa storia dello stadio. Ma che educazione diamo, se non consentiamo alla squadra di giocarci? Adesso c’è un’indagine, ho capito, ma le indagini non possono paralizzare le attività. Non è un metodo costruttivo, ma tutto questo moralismo calvinista, scusami, continua a essere applicato. Ora, siccome è indagata la squadra, tu non li fai giocare. Questo atteggiamento sabaudo non porta da nessuna parte».
Stai facendo un appello?
«Il corpo statale, il Deep State, come lo vogliamo chiamare, è in grave crisi reputazionale. Lo vedi anche nel dibattito su magistrati e politica. Per cui, in un momento del genere, stanno assumendo, e lo dico in modo costruttivo, l’atteggiamento più sbagliato verso la Calabria. Infatti, alcuni scioglimenti, come hai visto, poi non sono andati a buon fine».
Tu conosci bene la Calabria. A tuo avviso è cambiata? Continua a essere un’emergenza nazionale?
«Non è un’emergenza nazionale. Dal punto di vista economico, invece, sì. È infatti una regione povera e ha tutti i problemi dell’Italia ma amplificati: i ragazzi che se ne vanno, la sanità in difficoltà eccetera. Però c’è una presa di coscienza delle potenzialità regionali. L’agricoltura, l’agroalimentare e il food vanno bene. Il turismo sta andando: sta prendendo piede. Gli aerei ci sono. Insomma, un cambio esiste. Tra l’altro, vedo un po’ più compatti i sindaci. Adesso è andata male la sfida di Falcomatà per Reggio Capitale della Cultura 2027. Ma, secondo me, Reggio Calabria meritava in pieno il riconoscimento. Ci sono diversi segnali, insomma: non credo che la Calabria sia una terra spacciata, compromessa».
Criminalità organizzata, politica e giustizia. Come vedi questi tre mondi, nella Calabria del 2025?
«La criminalità organizzata in Calabria ha funzionato, le Procure hanno funzionato e hanno ottenuto dei risultati. Il problema non è la Calabria della criminalità organizzata, è Milano. Perché Milano vive come la capitale vera dell’omertà, e tu lo vedi anche da questa vicenda delle curve dello stadio. Ma a te sembra normale che Inter e Milan si siano costituiti parte civile contro gli ultrà? Milano non vuole fare i conti con la zona grigia e ora le curve dovrebbero risarcire i club? In Calabria i conti con la zona grigia li hanno fatti, da noi a Milano no. In quanto alla politica, ci sono in Calabria bravi politici, ottimi politici di tutti i partiti. Per inciso, i giornalisti calabresi sono degli eroi, perché operano in un territorio complesso. Poi ci sono le commistioni, lo sappiamo tutti, ma ci sono persone in gamba. Per esempio, Occhiuto o il sindaco di Cosenza. Io non vedo una cattiva classe politica».
Di ’ndrangheta si continua a parlare molto. Secondo te, può, a un certo punto, diventare un alibi per tanti?
«Il problema ’ndrangheta è completamente spostato altrove. Tu mi devi spiegare come fai a dire che la Calabria è la culla della ’ndrangheta e poi nello stesso tempo dici che al Nord si fanno gli affari. Allora c’è qualcosa che non torna. Penso che il tema vada visto diversamente, nel senso che le famiglie mafiose ci sono, sono lì in Calabria, tentano di presidiare il territorio, di condizionare, di estorcere, di incendiare, di fare tutto quello che viene raccontato ogni santo giorno».
Però?
«Però c’è una visione laica: in Calabria, il tema della ’ndrangheta viene affrontato in modo laico. Dda noi a Milano, viene invece negato, c’è un negazionismo pazzesco. In Calabria manca adesso un po’ più di battaglia culturale, anche se la società civile calabrese è più viva di quella milanese, mentre a Milano nessuno parla di ’ndrangheta. Sono franco: non si può dire che in Calabria sia nascosto il problema, perché le testate parlano sempre della ’ndrangheta, costantemente e con dovizia di particolari. Le notizie di criminalità, invece, a Milano hanno poco spazio. E anche la storia delle curve non è più sulle pagine nazionali».
E quindi?
«Ci sarà una Norimberga per la ’ndrangheta, prima o poi arriverà».
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