Editorialista del Corriere della Sera, Francesco Verderami da buon calabrese tocca note dolenti e non fa sconti a nessuno. È tornato in Calabria per vincere una scommessa e per «un’idea che coltivo da venti anni e che adesso ho reso concreta».
A chi lascia la Calabria spesso viene chiesto se la nostalgia si sente, se la natura prepotente e selvaggia lascia il segno. Certo questo legame può non essere dei più idilliaci, anzi molto spesso è conflittuale. Ma lo si voglia o no, il “mal di Calabria” esiste
«È una domanda solo all’apparenza banale. Invece è una trappola perché – in qualunque modo la si voglia affrontare – per rispondere si è costretti a scavare dentro. E a fare i conti ognuno con la propria storia e con i motivi che hanno portato a lasciare la Calabria. Per necessità o per scelta, per sete di avventura o di riscatto, per ragioni economiche o affettive, sono decisioni dei singoli che diventano però memoria collettiva. Perché noi tutti, chi più fortunato chi meno, siamo andati via ognuno con la nostra valigia di cartone. E lo spago che la chiude è fatto di nostalgia, tradizione, affetto, disperazione, speranza, lealtà, testimonianza. E il ricordo è lacerante: quando si torna a casa e quando si riparte. Ecco perché in fondo chi lascia la Calabria è convinto di non essersene mai andato. Ma non è così».
Il racconto della Calabria sta cambiando e non sembra distante dall’Italia, né dall’Europa più di quanto lo siano altre regioni ma è anche vero però che i calabresi devono liberarsi dalla “sindrome da risarcimento” e ragionare da persone libere. Abbiamo problemi? Si tantissimi vecchi e nuovi, ma c’è da temere di più per il debito pubblico dell’Italia e per la nuova geopolitica del potere.
«La sindrome da risarcimento è conseguenza di una verità storica (le dominazioni straniere e le scelte post unitarie) che nel tempo è diventata un alibi. Intere generazioni sono state allevate così dai politici e dagli intellettuali di riferimento, come se avessero diritto a ricevere una sorta di reddito di cittadinanza dalla storia. Una pretesa sbagliata e clientelare che ha reso la Calabria ancor più debole e i calabresi ancor più subalterni economicamente e culturalmente. Le nuove generazioni stanno mutando la situazione. Ai miei tempi c’erano due opzioni: partire o cercarmi un posto fisso. Adesso i ragazzi scelgono anche di restare e di costruirsi un futuro in Calabria. Una bella sfida che riscopre le tradizioni e lancia un messaggio positivo: si può fare. Anzi, “si può già fare”. Che è lo slogan dell’associazione L’orodicalabria».
Ti va di parlarci del tuo nuovo impegno, dell’impresa di fare impresa in Calabria?
«L’orodicalabria è un’idea che coltivo da venti anni e che adesso ho reso concreta. Intanto è un modo di ribadire la mia fedeltà alle origini. E poi è la volontà di aiutare i giovani che intendono fare impresa in Calabria. E quanti collaborano con queste nuove realtà. Costruire la cultura di impresa serve a rendere competitiva la regione. Ecco. Noi andremo a caccia di talenti in Calabria: da chi ha appena fatto nascere una nuova realtà a chi prova a disegnarla con una start up. Grazie al rapporto con l’Università della Calabria e al supporto dell’istituzione regionale l’anno scorso abbiamo avviato una summer school a Belvedere marittimo con studenti universitari a fine corso. Quest’anno faremo la seconda edizione, sempre a Belvedere marittimo, e sarà un progetto ambizioso. Stiamo immaginando borse di studio per i progetti o i giovani più meritevoli. Periodi di stage in aziende nazionali. Corsi manageriali in università del Paese. Tutto si farà sotto la regia di Unical e grazie alle scelte del comitato scientifico della associazione. Scorrendo la lista si capisce che tipo di squadra sia. Certo non disperderò le loro energie in organizzazione di convegni…».
La vera scommessa infatti è convincerli a restare e non solo per una scelta di cuore. In fondo chi se ne va dalla Calabria e dall’Italia lo fa per una sorte migliore, ma non è tutto oro per gli expat.
«L’orodicalabria non fa convegni, non fa politica e non si impanca su temi che fuoriescano dalla narrazione di una nuova Calabria. Che c’è, è giovane, è pulita, è determinata, è competente. È di questa Calabria che desideriamo occuparci. Dei talenti». (paola.militano@corrierecal.it)
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