COSENZA Giovanni Manoccio è presidente dell’Associazione “don Vincenzo Matrangolo”, in passato ha guidato da sindaco il comune di Acquaformosa diventato paese simbolo dell’accoglienza, oggetto di studio in Italia e in Europa consolidatosi come una “best pratices” grazie al lavoro e alla costanza dei tanti professionisti e operatori che hanno contribuito a costruire un modello di partecipazione. Al Corriere della Calabria, in una lunga intervista, Manoccio riannoda i fili del passato e con estrema lucidità fotografa le criticità ormai strutturali del sistema accoglienza.
«Abbiamo iniziato un percorso nel lontano 2009 quando, da sindaco del paese, ho aderito alla rete nazionale dell’accoglienza pubblica; il progetto prevedeva 15 posti per un finanziamento di 132.000 euro; la nostra buona pratica ha generato l’interessamento nel corso degli anni di altri 9 Comuni per lo più di origine Arbereshe. Oggi l’associazione, di cui sono presidente, gestisce 9 progetti e ha 96 dipendenti ed oltre 35 professionisti a partita iva. L’associazione è passata nel corso degli anni da un bilancio di 135.000 euro a 3.400.000 euro, generando economia sociale di cui l’80% è rimasto nei territori. Nei nostri paesi, interessati da un forte spopolamento, grazie al sistema di accoglienza, sono passati circa 4500 ospiti provenienti da 4 continenti, 72 nazioni, 140 etnie; in parole povere è passato il mondo.
Per me Acquaformosa non è un modello, ma un sistema di buone pratiche che è stato possibile replicare in paesi limitrofi e non, grazie all’operato dell’Associazione Don Vincenzo Matrangolo E.T.S. che si basa sul sistema di accoglienza pubblica nazionale.
«All’indomani dell’accordo denunciai pubblicamente il mio dissenso con una lettera aperta indirizzata al primo ministro Rama e al Presidente della Repubblica Begaj, affermando che con questo accordo avevano offeso la storia e la cultura degli Arbereshe di Italia, paesi che basano la loro attuale economia sull’accoglienza e non sulle deportazioni dei poveri migranti “raccolti” nel mediterraneo. Organizzai insieme ad altri militanti, una manifestazione presso la prefettura di Cosenza dove nessun sindaco dei paesi Arbereshe ha partecipato, forse perché molto più attenti agli aspetti folkloristici e culinari che ai diritti umani. Durante il festival delle migrazioni abbiamo ospitato giornalisti dell’Albania che si battono contro l’accordo.
«Da responsabile dell’accoglienza e immigrazione della presidenza della regione Calabria, mi opposi fermamente alla proposta della Conferenza Stato-Regioni di aprire un Cpr nel territorio di Mormanno. Sono contrario da sempre ai Cpt e ai Cpr, alle megastrutture e ai Cas. Ritengo che il fenomeno dell’accoglienza debba essere gestito dal ministero del welfare e non dal ministero degli interni perché non è un fenomeno straordinario o emergenziale, ma ordinario, che si basa sul movimento delle persone. Oltre duecento milioni di persone l’anno si muovono dai loro paesi, quasi un sesto continente che attraverso il viaggio si sposta nel mondo alla ricerca della realizzazione del sogno di una nuova vita. Penso, dunque, che Prodi abbia preso un abbaglio».
«Non interessa alla politica, non interessa ai governanti, troppe poche persone. Il decadimento della politica è proprio quello di non vedere più i contesti sociali, antropologici, culturali di cui la nostra etnia è portatrice e lo è stato nel passato con uomini e donne che hanno difeso i loro usi e costumi e la lingua in modo orale, scrivendo la costituzione, battendosi per l’unità d’Italia, esprimendo poeti e letterati e partecipando attivamente al movimento dei partigiani. Oggi i primi attori sono i Salvini, i Palazzolo e i Delmastro; possono loro comprendere che le culture di minoranza possono essere e sono un valore aggiunto?!».
«Vivo immerso nella natura, apprezzo la lentezza, ho pensieri profondi di libertà dei popoli. Vedo una gioventù smarrita e mi chiedo spesso dove abbiamo sbagliato; ho paura dell’intelligenza artificiale perché ancora una volta sarà utilizzata dai potenti per reprimere i sogni di libertà della gente. Per questo spargo semi, materiali nel mio terreno, e morali nella società, sperando che non tutto sia perduto e che la globalizzazione economica e finanziaria possa un giorno finire e che l’uomo possa riprendersi le gioie, le felicità e le emozioni».
«Non rifarei l’attività partitica fatta di inutili riunioni preordinate e a servizio dei tanti potenti che si annidano in ogni partito; continuerei a fare politica cosi come sto facendo ora, dando una speranza a chi è più sfortunato di noi. Ciò mi riempie di tanta gioia e pace interiore. Cosa non ho ancora fatto? Scalare l’Everest e da lì su pensare un mondo di pace e non di guerra». (f.benincasa@corrierecal.it)
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